Ricorso per conflitto della Regione Toscana (codice fiscale e partita I.V.A.: 01386030488), in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con delibera della Giunta Regionale 800 del 30 settembre 2013, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura della Regione Toscana (codice fiscale: BROLCU57M59B157V) e dall'avv. prof. Marcello Cecchetti (codice fiscale: CCCMCL65E02H501Q), presso il cui studio elegge domicilio in Roma, via Antonio Mordini n. 14 (e-mail: marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it); Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore in carica, per: La dichiarazione di non spettanza alla Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana del potere di richiedere il deposito dei conti giudiziali ai gruppi consiliari del Consiglio della Regione Toscana riferibili alle annualita' 2010 - 2011 - 2012; e, per l'effetto, l'annullamento dei decreti nn. 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19/2013 emanati dalla Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana in data 10 luglio 2013 e depositati in segreteria della Corte dei Conti in data 8 agosto 2013, con i quali il predetto potere giurisdizionale e' stato affermato e concretamente esercitato. Fatto In data 11 aprile 2013 il Procuratore regionale della Corte dei conti inoltrava alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte medesima sette istanze per resa di conto ai sensi dell'art. 39, del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, per l'emanazione del decreto di fissazione del termine per il deposito da parte dei gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Toscana dei conti giudiziali relativi alla gestione dei fondi pubblici regionali - integranti il contributo previsto dalla legge regionale n. 60/2000 e successive modificazioni ed integrazioni - e accreditati, nel corso della IX Legislatura regionale, per gli anni 2010 - 2011 - 2012. La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, all'esito della Camera di consiglio del 10 luglio 2013, emanava i decreti nn. 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19 del 2013 (docc. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7) con i quali - individuato l'agente contabile legittimato passivo del giudizio per resa di conto ai sensi degli artt. 44 ss. del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 nelle persone dei Presidenti pro tempore dei gruppi consiliari oggetto della predetta istanza - assegnava agli stessi il termine di giorni novanta per il deposito dei conti giudiziali relativi alla gestione per gli anni 2010 - 2011 - 2012. Segnatamente: con decreto n. 13/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Gruppo Misto" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 14/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Lega Nord Toscana/piu' Toscana" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 15/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Unione di Centro" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 16/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Federazione della Sinistra - Verdi" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 17/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Italia dei Valori" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 18/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "Partito Democratico" il deposito dei predetti conti giudiziali; con decreto n. 19/2013, si intimava al Presidente pro tempore del Gruppo consiliare "il Popolo della Liberta'" il deposito dei predetti conti giudiziali. Preme sin da ora rilevare come l'intimazione al deposito dei conti giudiziali contenuta nei citati decreti non abbia precedenti nella storia dell'ordinamento regionale repubblicano; non solo, ma la stessa segue la conclusione del controllo sul rendiconto generale della Regione Toscana effettuato, con giudizio di parifica positivo, ai sensi della nuova normativa contenuta nell'art. 1, del decreto-legge n. 174 del 10 ottobre 2012, convertito in legge dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. I provvedimenti giurisdizionali avverso i quali si ricorre con la proposizione del presente giudizio per conflitto di attribuzione risultano adottati in carenza assoluta di giurisdizione e, al contempo, ledono l'autonomia costituzionalmente garantita della Regione e, in particolare, del Consiglio regionale e dei suoi singoli componenti. Il presente conflitto, pertanto, e' fondato su due concorrenti presupposti: da un lato, la radicale insussistenza del potere giurisdizionale che la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana ha preteso di affermare ed esercitare in concreto mediante l'attivazione del giudizio di resa del conto a carico dei Presidenti dei gruppi consiliari; dall'altro, la conseguente palese interferenza che da tale pretesa deriva nei confronti delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alla Regione e ai suoi organi consiliari, sotto il profilo della attuale e concreta menomazione delle medesime. Ambedue i presupposti trovano fondamento nei motivi di seguito esplicitati. In via preliminare, sull'ammissibilita' del presente ricorso per conflitto di attribuzioni. Come e' noto, la giurisprudenza di questa Ecc.ma. Corte Costituzionale ammette pacificamente «che il conflitto intersoggettivo possa riguardare anche atti di natura giurisdizionale, con l'unico limite che esso non si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo, contro gli errori in iudicando, di diritto sostanziale o processuale, i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni» (cosi' sent. n. 195/2007; cfr. inoltre, ex multis, sentt. nn. 72 e 81/2012). I decreti che qui si censurano - pacificamente di natura giurisdizionale (ai sensi degli artt. 44 ss. del regio decreto n. 1214/1934, ed a fortiori dell'art. 103, secondo comma, Cast. che ne costituisce il fondamento costituzionale) e gia' riconosciuti da questa Corte (a partire dalla sent. n. 110 del 1970) quali atti idonei a costituire il presupposto di un conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni - esprimono in modo chiaro ed inequivoco l'affermazione (clamorosamente erronea e infondata, come si vedra') della sussistenza di un potere giurisdizionale spettante alla Corte dei conti e la relativa pretesa di esercitarlo in concreto nei confronti dei Presidenti dei gruppi consiliari intimati, con conseguente sicura interferenza, sotto il profilo della menomazione attuale e concreta, rispetto a molteplici attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione e all'assemblea legislativa regionale, nonche' alle prerogative costituzionali dei singoli consiglieri. Come gia' sostenuto da questa Ecc.ma Corte nella sent. n. 129 del 1981, «tale prospettazione e' sufficiente a dimostrare che "esiste la materia di un conflitto" (in base all'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953), anche se nei casi in esame non si controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione, ma circa l'estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia organizzativa e funzionale rivendicata» dall'odierna ricorrente; «e' infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il criterio per cui la figura dei conflitti di attribuzione, sia tra lo Stato e le Regioni sia tra i poteri dello Stato, "non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto" (cfr. la sentenza n. 110 del 1970)». L'idoneita' lesiva dei suddetti decreti sostanzia in capo alla ricorrente Regione Toscana l'interesse alla tutela dell'integrita' della propria sfera di autonomia, cosi' come sancita da norme costituzionali o norme primarie direttamente integrative o attuative di norme di rango Costituzionale (cfr., ex multis, sent. n. 238/2012). Cio' a maggior ragione se si considera che, come affermato da questa Ecc.ma Corte, la lesione di poteri propri dei rappresentanti di un ente dotato di autonomia costituzionalmente protetta si estende anche all'autonomia dell'ente medesimo, avvalorando ulteriormente l'interesse alla tutela delle proprie attribuzioni (cfr., ex multis, sentt. nn. 211/1972 e 163/1997). L'iniziativa del Procuratore regionale cui la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti ha dato corso travalica i limiti esterni della giurisdizione contabile, concretizzando l'attivazione di un giudizio in carenza assoluta di potere giurisdizionale, senza che vengano in alcun modo in questione profili concernenti le concrete modalita' di esercizio di tale funzione. Gli atti che in questa sede si impugnano realizzano, altresi', una concreta ed attuale lesione delle prerogative costituzionalmente attribuite alla Regione, in violazione degli artt. 5, 101, secondo comma, 103, secondo comma, 114, 117, 119, 121, 122, quarto comma, 123, anche in relazione all'art. 134, primo comma, Cost. e, quali norme interposte, degli artt. 9 (prerogative dei Consiglieri), 11 (funzioni del Consiglio regionale), 16 (gruppi consiliari), 17 (Presidenti dei gruppi consiliari), 22 (regolamento del Consiglio regionale) e 28 (autonomia del Consiglio regionale) dello Statuto della Regione Toscana. Tanto doverosamente premesso in punto di ammissibilita' del ricorso, i decreti della Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana menzionati in epigrafe ledono l'autonomia e le attribuzioni costituzionali della Regione Toscana per i seguenti motivi di Diritto 1. - Carenza assoluta di giurisdizione per difetto dei presupposti oggettivi di instaurazione del giudizio di resa di conto e del giudizio di conto. Violazione degli artt. 101, secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 45 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, nonche' dell'art. 39 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038. Lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 5, 114, 117, 119, 121 e 123 della Costituzione, anche in riferimento agli artt. 9, 11, 16, 17, 22 e 28 dello Statuto della Regione Toscana. 1.1. - Con i decreti indicati in epigrafe e impugnati in questa sede, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana ha affermato esplicitamente la sussistenza della propria giurisdizione contabile nei confronti dei Presidenti dei gruppi consiliari, ritenendo assoggettabili al procedimento di resa del conto e al conseguente giudizio di conto i rendiconti da questi predisposti e sottoscritti in ordine alla gestione dei contributi ricevuti dai gruppi a carico del bilancio del Consiglio regionale. Tale affermazione e' gravemente erronea, in quanto del tutto priva di fondamento e palesemente contrastante con il vigente quadro normativo che configura l'ambito e i limiti delle giurisdizioni speciali affidate alla Corte di conti. Come e' noto, l'art. 103, secondo comma, Cost. stabilisce, in via generale, che «la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica e nelle altre specificate dalla legge». Orbene, nella presente sede si puo' senz'altro prescindere dall'antica e dibattuta questione circa la necessita' o meno della c.d. "interpositio legislatoris" ai fini della compiuta definizione degli ambiti spettanti alla giurisdizione contabile. La vigente legislazione nazionale, infatti, individua in termini inequivoci e con estrema puntualita' l'ambito oggettivo del "giudizio di conto" spettante alla Corte dei conti, stabilendo, all'art. 44, comma 1, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, che quest'ultima «giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare denaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprieta' dello Stato, e di coloro che si ingeriscono anche senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti agenti», aggiungendo, al secondo comma, l'ulteriore precisazione secondo la quale «la Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni [diverse da quelle statali] per quanto le spetti a termini di leggi speciali». Si tratta di un dato normativo assolutamente dirimente per il caso di specie. E' evidente, infatti, che - contrariamente a quanto affermato nei decreti da cui origina il presente conflitto (cfr., ad es., i parr. 3.4 e 3.5 del decreto n. 13 /2013) circa la non necessarieta' di una esplicita interpositio legislatoris ai fini della configurazione dell'obbligo di resa del conto giudiziale «in ogni caso in cui vi sia maneggio di pubblico denaro e piu' in particolare, allorquando, come si verifica in fattispecie (...) pubblico sia l'ente per il quale il soggetto agisce, pubblico sia il denaro utilizzato e pubbliche siano le finalita' perseguite», asseritamente in forza di un principio generale ricavabile dall'art. 610 del Regolamento di contabilita' generale dello Stato (R.D. 23 maggio 1924, n. 827) e della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione - l'interpositio legislatoris in riferimento specifico al "giudizio di conto" si e' concretamente ed esplicitamente realizzata, mediante l'espressa previsione legislativa secondo la quale tale giurisdizione della Corte dei conti puo' estendersi ai conti dei tesorieri ed agenti delle amministrazioni non statali solo ed esclusivamente se e nei limiti in cui sia espressamente contemplata da leggi speciali. E poiche' non esiste nell'ordinamento alcuna disciplina legislativa speciale che preveda l'obbligo di resa del conto giudiziale a carico dei Presidenti dei gruppi consiliari regionali e la conseguente assoggettabilita' di questi ultimi al giudizio di conto spettante alla Corte dei conti (alcunche' e' rinvenibile, al riguardo, ne' nella legge n. 853 del 1973 sull'autonomia contabile e funzionale dei Consigli regionali, ne' nell'art. 31, della legge n. 335 del 1976 o nell'art. 33 del d.lgs. n. 76 del 2000 che lo ha sostituito con contestuale abrogazione), e' del tutto evidente che la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, con i decreti impugnati, ha ritenuto di pronunciarsi in carenza assoluta di potere giurisdizionale, incorrendo altresi' in una palese quanto clamorosa ipotesi di "disapplicazione" della legislazione vigente e violando contestualmente gli artt. 101, secondo comma, e 103, secondo comma, Cost., nonche' le chiarissime previsioni dell'art. 44, del citato regio decreto n. 1214 del 1934 e del connesso art. 39, del regio decreto n. 1038 del 1933, che a quest'ultimo rimanda nel disciplinare il potere del Procuratore generale presso la Corte dei conti di promuovere il giudizio di conto a carico dei soggetti che risultino obbligati alla resa del conto medesimo. D'altra parte, i decreti da cui origina il presente conflitto difettano in assoluto dei presupposti oggettivi per l'instaurazione del giudizio di resa di conto, quale giudizio strumentale alla instaurazione del successivo giudizio di conto, anche da un secondo punto di vista. Nel caso di specie, invero, il giudizio di resa di conto, sollecitato dalla Procura e assentito dalla Sezione giurisdizionale, si fonda su elementi non sussumibili in alcun modo nell'ambito delle specifiche fattispecie previste dall'art. 45, del regio decreto n. 1214 del 1934. Il comma 2 di tale disposizione stabilisce infatti che «il giudizio puo' essere iniziato dietro istanza del pubblico ministero per decreto della competente sezione, da notificarsi all'agente, con la fissazione di un termine a presentare il conto nei casi: a) di cessazione degli agenti dell'amministrazione del loro ufficio; b) di deficienze accertate dall'Amministrazione; c) di ritardo a presentare i conti nei termini stabiliti per legge o per regolamento. La stessa giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentt. nn. 337/2009; 337/2005; 100/1995; 209/1994; 104/1989) si e' curata di precisare che i poteri di controllo in punto di responsabilita' contabile e amministrativa riconosciuti in capo al Procuratore Regionale della Corte dei Conti (dalla cui istanza originano i decreti contestati nel presente giudizio) in tanto si possono legittimamente esplicare, in quanto esercitati in presenza di circostanze che facciano ragionevolmente presumere illeciti produttivi di danno erariale (come peraltro desumibile dall'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78/2009, come modificato dal decreto-legge n. 103/09, convertito in 1. n. 141/09), al fine di non denaturare in un generalizzato potere di controllo. Nel caso di specie non sussiste evidentemente alcuna delle tre ipotesi cui la citata disposizione legislativa riconduce l'esperibilita' del giudizio per resa di conto: non vi e' cessazione degli agenti dell'amministrazione, ne' deficienze accertate, ne' ritardo nella presentazione dei conti (ritardo che, in ogni caso, non e' stato neppure formalmente contestato ne' avrebbe potuto esserlo, non essendo reperibile alcun termine di legge o di regolamento per la presentazione del conto giudiziale da parte dei presidenti dei gruppi consiliari). 1.2. - Dalla carenza assoluta della giurisdizione affermata dalla Corte dei conti per difetto dei presupposti oggettivi di instaurazione del giudizio per resa di conto e del successivo giudizio di conto, oltre che una conclamata violazione dei parametri costituzionali e legislativi che delimitano i confini della giurisdizione contabile, deriva una palese menomazione dell'autonomia riconosciuta al Consiglio regionale, atteso che l'affermata assoggettabilita' dei rendiconti dei gruppi consiliari al giudizio di conto introduce una forma surrettizia di controllo sull'operato consiliare, generalizzata e diffusa, che - come si e' visto - non trova alcun riscontro nel quadro normativa di riferimento e che, come meglio si' dira' nei paragrafi che seguono - interferisce pesantemente sulle attribuzioni e le prerogative di un organo, il Consiglio regionale (nel suo complesso e nei suoi singoli componenti), cui le norme costituzionali (in particolare, gli artt. 5, 114, 121, 122 e 123 Cost. e, quale nonna interposta, l'art. 28 dello Statuto regionale) hanno conferito ampia autonomia politica ed organizzativa, in quanto organo rappresentativo della comunita' regionale. Tali risultanze sono avvalorate - e non invece disattese come si sostiene nei decreti impugnati - dagli innovativi e piu' penetranti poteri di controllo che il d.l. n. 174 del 2012 ha attribuito alla Corte dei conti, con particolare riferimento ai rendiconti dei gruppi consiliari (cfr., spec., art. 1, commi 9, 10, 11 e 12). Il suddetto intervento legislativo si e' curato di disciplinare un nuovo ambito di esplicazione del potere di controllo della Corte dei conti (come desumibile anche dalla rubrica dell'art. 1, che parla di «rafforzamento» di tale potere), che a tutta evidenza, prima di esso, non era ricavabile in via analogica ne' dalle attribuzioni di cui all'art. 100, secondo comma, Cost., ne', a fortiori, da quelle derivanti dall'art. 103, secondo comma, Cost. Aderendo alla tesi sostenuta dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, sfuggirebbe ad una lineare comprensione la stessa ratio del nuovo istituto, atteso che i poteri di controllo circa il corretto utilizzo dei contributi concessi ai gruppi consiliari si verrebbero a sovrapporre, in via del tutto paradossale, all'obbligo di presentazione del conto giudiziale e al giudizio di resa di conto, che gia' prima dell'introduzione della novella avrebbero potuto ampiamente soddisfare l'esigenza del rispetto della destinazione funzionale di tali fondi. 1.3. - I decreti in epigrafe esplicano efficacia lesiva, sotto il profilo della menomazione di attribuzioni costituzionali, anche in relazione all'autonomia statutaria, all'autonomia legislativa ed all'autonomia finanziaria, rispettivamente riconosciute all'ente Regione dagli artt. 123, 117 e 119 Cost. Nell'instaurare una forma surrettizia di controllo dell'operato consiliare mediante l'affermazione di un potere giurisdizionale in realta' inesistente, la Corte dei conti viene a ledere in concreto le modalita' con le quali Regione Toscana ha esercitato le proprie potesta' statutaria, legislativa e finanziaria in materia. I decreti che qui si censurano, infatti, prescindono totalmente dalla normativa regionale, che pure esiste ed e' invero informata ai principi di corretta ed efficace gestione delle pubbliche risorse. In particolare, sulla base delle previsioni contenute negli artt. 16 e 28 dello Statuto regionale, tanto la legge regionale 5 febbraio 2008, n. 4, che appositamente tutela l'autonomia del Consiglio regionale, quanto la recente legge regionale 27 dicembre 2012 n. 83, regolatrice del finanziamento dei gruppi consiliari, si sono curate di disciplinare puntualmente le modalita' di corretta rendicontazione e gestione delle risorse consiliari. Emerge dalla normativa regionale la chiara intenzione di predisporre i piu' idonei strumenti giuridici, procedurali e sostanziali, per recepire i criteri direttivi contenuti nel d.l. n. 174/2012 al fine di agevolare la correttezza nella gestione delle risorse pubbliche e il controllo contabile da esso previsto. Si disciplina cosi' puntualmente la. fase di erogazione del contributo (artt. 1 e 4), i criteri che debbono informarne l'utilizzo (art. 3: «Il contributo e' assegnato e puo' essere utilizzato esclusivamente per gli scopi istituzionali dei gruppi, riferiti all'attivita' del Consiglio regionale, ivi comprese le attivita' di studio, editoria e comunicazione, esclusa in ogni caso la possibilita' di finanziare, direttamente o indirettamente, le spese di funzionamento degli organi centrali e periferici dei partiti o dei movimenti politici e delle loro articolazioni politiche o amministrative o di altri rappresentanti interni ai partiti o ai movimenti politici»), e soprattutto le modalita' di rendicontazione e di pubblicita' di cui all'art. 6, ai sensi del quale: «1. Ciascun gruppo consiliare approva e trasmette al Presidente del Consiglio regionale, entro quarantacinque giorni dalla chiusura dell'esercizio, il rendiconto annuale delle spese sostenute, con la relativa documentazione, redatto secondo il modello allegato alla deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano 6 dicembre 2012, n. 235/CSR [...]; 2. Il presidente del gruppo consiliare sottoscrive il rendiconto e ne e' responsabile; 3. Ciascun consigliere appartenente al gruppo misto sottoscrive il rendiconto relativo alle proprie spese e ne e' responsabile; 4. Il Presidente del Consiglio regionale inoltra i rendiconti al Presidente della Giunta regionale il quale, entro sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio, li trasmette alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, commi 10, 11 e 12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 [...]; 5. Per i gruppi consiliari cessati, per qualsiasi causa, il rendiconto per l'anno di cessazione e' trasmesso al Presidente del Consiglio regionale, ai fini del comma 4, entro quarantacinque giorni dalla cessazione stessa; 6. Nell'ultimo anno della legislatura il rendiconto riferito al periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la data antecedente alla prima seduta del nuovo Consiglio regionale e' trasmesso al Presidente del Consiglio regionale, ai fini del comma 4, entro quarantacinque giorni dalla data delle elezioni; 7. I rendiconti e la deliberazione con la quale la Corte dei conti si pronuncia sulla loro regolarita' sono pubblicati sul Bollettino ufficiale della Regione Toscana in allegato al conto consuntivo del Consiglio regionale; 8. Il Presidente del Consiglio regionale, mediante i competenti uffici consiliari, cura la pubblicazione sul sito istituzionale del Consiglio regionale dei documenti di cui al comma 7, e di tutti i dati relativi al finanziamento dell'attivita' dei gruppi, assicurandone la disponibilita' per via telematica ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera l), del d.l. 174/2012, convertito dalla l. 213/2012; 9. Nel caso di mancata trasmissione o di irregolarita' del rendiconto e della documentazione a corredo, o di mancata regolarizzazione entro il termine fissato, o di deliberazione di 11011 regolarita' del conto da parte della sezione regionale della Corte dei conti, si applicano le disposizioni dell'art. 1, commi 11 e 12 del d.l. 174/2012, convertito dalla l. 213/2012, e si procede alle forme di pubblicita' previste dai commi 7 ed 8 del presente articolo». Per quanto piu' specificamente rileva in relazione al presente giudizio, deve sottolinearsi che un'analoga disciplina era gia' contenuta anche nella previgente legge regionale n. 60/2000, applicabile ratione temporis alle risorse assegnate ai gruppi consiliari per gli esercizi 2010, 2011 e 2012, la quale rimetteva al Regolamento interno del Consiglio la disciplina dei rendiconti annuali delle spese sostenute dai gruppi consiliari e delle modalita' di approvazione e di pubblicazione dei suddetti rendiconti (cfr. le analitiche previsioni contenute nell'art. 16 del Regolamento 27 gennaio 2010, n. 12). Da tutto quanto fin qui esposto, scaturiscono i vizi eccepiti nell'epigrafe del presente motivo di censura. 2. - Carenza assoluta di giurisdizione per difetto dei presupposti soggettivi di instaurazione del giudizio di resa di conto e del giudizio di conto. Violazione degli artt. 101, secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 45, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, nonche' dell'art. 39, del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038. Lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 5, 114, 117, 119, 121 e 123 della Costituzione, anche in riferimento agli artt. 9, 11, 16, 17, 22 e 28 dello Statuto della Regione Toscana. 2.1. - La carenza assoluta della giurisdizione affermata ed esercitata dalla Corte dei conti con i decreti impugnati e le conseguenti menomazioni delle sfere di autonomia regionale costituzionalmente garantite risultano evidenti anche sotto il profilo del palese difetto dei presupposti soggettivi per l'instaurazione del giudizio di resa del conto e del successivo giudizio di conto. Il procedimento per resa di conto, come e' noto, assume quale presupposto indefettibile la qualifica di "agente contabile" in capo al soggetto che vi e' sottoposto, la quale postula una sua previa ed espressa determinazione da parte di fonti legislative o, comunque, di fonti normative interne a ciascuna Amministrazione. E' pacifico, infatti, che nell'ambito degli Enti pubblici, ed in particolare delle Autonomie territoriali, gli "agenti contabili" siano figure tipizzate che debbono essere formalmente e direttamente investite della relativa funzione o dalla legge o dalle disposizioni interne di ciascuna Amministrazione. Orbene, come in parte si e' gia' illustrato, ne' a. livello di legislazione nazionale (in particolare, legge n. 853/1973, in merito all'autonomia contabile e funzionale dei Consigli Regionali, nonche' d.lgs. n. 76 del 2000, in materia di bilancio e di contabilita' delle Regioni) ne' a livello di legislazione regionale si rinvengono disposizioni che attribuiscano la qualifica di "agente contabile" tenuto alla presentazione del conto giudiziale ai presidenti dei gruppi consiliari od ai loro componenti, con conseguente sottoposizione degli stessi al sindacato della Corte dei Conti in sede di giudizio di conto. Al contrario, l'art. 28 dello Statuto della Regione Toscana, in ossequio all'esplicita riserva contenuta nell'art. 123 Cost. nelle materie della «forma di governo» e dei «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» della Regione, riconosce in capo al Consiglio Regionale «autonomia di bilancio, contabile, funzionale ed organizzativa», aggiungendo che «l'ordinamento contabile del consiglio e' disciplinato con apposito regolamento interno, nel quadro dei principi della legge di contabilita' regionale»; l'art. 16 del medesimo Statuto, dal canto suo, stabilisce che l'assegnazione dei contributi ai gruppi consiliari e le relative modalita' di rendicontazione «sono disciplinate dalla legge [regionale]». Da tali previsioni discende che la rendicontazione dei contributi attribuiti ai gruppi consiliari e' rimessa esclusivamente all'Assemblea, secondo le norme regionali legislative e regolamentari riservatarie della materia in base allo Statuto (cfr. legge reg. n. 36/01, spec. art. 3; legge reg. n. 4/2008; Regolamento interno di amministrazione e contabilita' 24 aprile 2013, n. 20; Regolamento interno dell'assemblea legislativa regionale 27 gennaio 2010, n. 12, spec. artt. 16 e 17). Ne deriva che tutte le possibili garanzie apprestate dall'ordinamento vigente in merito alla gestione dei contributi assegnati ai gruppi consiliari debbono rinvenirsi nella predetta normativa, senza che si possa ammettere alcuna operazione interpretativa in senso estensivo che possa condurre - come nel caso di specie ha preteso di fare la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti - a qualificare inopinatamente i presidenti dei gruppi consiliari quali "agenti contabili" ai sensi e per gli effetti della loro assoggettabilita' all'obbligo di resa del conto giudiziale e alla relativa giurisdizione spettante al Giudice contabile. Giova a tal proposito richiamare anche la sent. n. 292 del 2001 di questa Ecc.ma Corte, la quale ha affermato chiaramente che l'unico agente contabile individuabile nell'Ente regionale, a parte i funzionari amministrativi preposti a specifici servizi, e' l'istituto tesoriere, atteso che «l'agente contabile e' soggetto distinto dai componenti del Consiglio Regionale e dai suoi Organi interni, ed affatto estraneo alle prerogative che assistono costoro» (e, infatti, nel caso deciso con la citata sent. n. 292 del 2001, il giudizio di conto e' stato ritenuto ammissibile perche' rivolto all'istituto tesoriere). Anche sotto il profilo dei presupposti soggettivi dei giudizi di conto, pertanto, risulta apprezzabile ictu oculi la radicale insussistenza del potere giurisdizionale che la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana ha preteso di esercitare con i decreti qui censurati, dal momento che l'esercizio del giudizio di conto nei confronti di un membro del gruppo consiliare non appare in alcun modo conforme al principio di legalita', in quanto privo di qualsiasi riscontro normativo (che pure ne dovrebbe costituisce il presupposto indefettibile) e, addirittura, in palese contrasto con il quadro normativo statale e regionale vigente. Di qui, l'evidente violazione dell'art. 103, secondo comma, Cost. e delle discipline legislative (e non) che di esso costituiscono l'attuazione, nonche', finanche, la violazione dell'art. 101, secondo comma, Cost. sotto il profilo della conclamata "disapplicazione" di disposizioni di rango legislativo; ed e' appena il caso di ribadire - come gia' si e' illustrato nel precedente motivo di ricorso e piu' analiticamente si mostrera' nel prosieguo - che da simili violazioni dei limiti costituzionali imposti al Giudice contabile scaturiscono in concreto molteplici e gravi menomazioni delle sfere di autonomia che la Costituzione riconosce all'ente Regione e al Consiglio regionale nel suo complesso e nei suoi singoli componenti. 2.2. - D'altra parte, ad abundantiam, non si puo' fare a meno di rammentare il principio evidenziato da questa Ecc.ma Corte in numerose pronunce (ex multis, sentenze nn. 110 del 1970, 129 del 1981), secondo cui l'art. 103 della Costituzione esplica la propria vis espansiva sui limiti esterni della giurisdizione contabile esclusivamente per gli agenti contabili dello Stato. La Corte avverte infatti che «l'espandersi della giurisdizione costituzionalmente attribuita alla. Corte dei conti, lungi dall'essere incondizionato, deve considerarsi circoscritto "laddove ricorra identita' oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da altre nonne e principi costituzionali"» (sent. n. 129 del 1981). Ed in questi termini si e' espressa - forse ancor piu' chiaramente - la sent. n. 102 del 1977, nella quale la Corte ha in sostanza escluso che il precetto stabilito dal secondo comma, dell'art. 103 Cost. sia caratterizzato da una «assoluta (e non tendenziale) generalita'» e sia dunque dotato di «immediata operativita' in tutti i casi». Ne deriva che l'estensione della qualifica di "agente contabile" e della relativa giurisdizione della Corte dei conti a situazioni non espressamente regolate nell'ambito degli Enti pubblici diversi dallo Stato puo' avvenire esclusivamente entro i limiti segnati da una interpositio legislatoris in positivo, e sempre entro i limiti segnati da norme e principi costituzionali. Cio' trova conferma anche nella ulteriore giurisprudenza costituzionale, la quale ha evidenziato che la puntuale attribuzione della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilita' amministrativa e contabile non opera automaticamente in base al disposto costituzionale contenuto nell'art. 103 secondo comma Cost., ma e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore ordinario (sentt. n. 355/2010, n. 46/2008), e che la Corte dei Conti non e' «il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela dei danni pubblici. (...) Proprio in applicazione dell'art. 103, secondo comma, Cost., e nei limiti ad esso imposti, spetta al legislatore la determinazione della sfera di giurisdizione dei giudici (ordinario, amministrativo, contabile, militare ecc...). E nella interpositio del legislatore deve individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei Conti» (sent. n. 641 del 1987). 3. - In particolare: violazione dell'art. 122, quarto comma, Cost.. 3.1. - Nei paragrafi che precedono si e' gia' ampiamente argomentato sulle caratteristiche costitutive del potere giurisdizionale illegittimamente affermato ed esercitato dalla Corte dei conti nel caso di specie. La stessa giurisprudenza contabile (ex multis, Corte dei conti, Sezioni riunite, sent. 18 luglio 1992, n. 794) ha interpretato il giudizio di resa di conto come un processo a connotazione inquisitoria nel quale viene prevalentemente in evidenza il pubblico interesse, esplicazione di una potesta' pubblica irrinunciabile a fronte della quale il contabile si colloca in una posizione di soggezione, cosi' come il vero e proprio giudizio di conto e' uno strumento di garanzia di correttezza delle pubbliche gestioni a tutela dell'interesse oggettivo alla regolarita' di gestioni finanziarie e patrimoniali (al punto che la stessa revoca dell'istanza per resa di conto da parte del Procuratore regionale e' ritenuta inammissibile: ex niultis, Sez. reg. Campania, sent. 14 settembre 2001, n. 86). Il giudizio contabile esercitato in tale sede e' preordinato alla verifica della rispondenza tra l'attivita' contabile del tesoriere e l'attivita' gestoria degli amministratori danti causa, al fine della verifica del corretto maneggio del danaro pubblico. Non si tratta pertanto di un sindacato di mera legittimita', bensi' di un giudizio sulla gestione complessiva delle pubbliche risorse, volto ad accertare il positivo perseguimento degli obiettivi posti dalle norme dell'agire amministrativo, la sua efficacia e l'economicita' dei risultati raggiunti. A cio' si aggiunga la progressiva tendenza giurisprudenziale ad ampliare l'ambito di applicazione della responsabilita' amministrativa e contabile, nell'intento di affermare il carattere generale della giurisdizione della Corte dei conti in ogni settore della contabilita' pubblica, sulla scorta della presunta vis espansiva della quale sarebbe caratterizzato l'art. 103, secondo comma, Cost. Come peraltro ribadito anche da questa Ecc.ma Corte, con ripetuti interventi normativi il Legislatore «ha riconosciuto alla Corte dei conti, nell'ambito del disegno tracciato dagli artt. 97, primo comma, 28, 81 e 119 (nel testo originario) Cost., il ruolo di organo posto al servizio dello "Stato-Comunita'", quale garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicita' (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997)» (sent. n. 267/2007). Orbene, se il sindacato del giudice contabile incontra il limite del merito delle scelte degli agenti pubblici (ex multis, Corte dei conti, sez. II, sent. n. 367/2010; Corte dei conti, SS.RR. sent. n. 30/A del 3 giugno 1996), esso si arresta certamente ai limiti esterni del potere discrezionale, investendo l'area dell'irrazionalita' e dello scostamento da ogni canone di corretta amministrazione (numerose pronunce del giudice contabile, infatti, fanno riferimento al concetto di "ragionevolezza gestoria" - Corte dei conti, sez I, sent. n. 15/1994/A del 19 settembre 1994 - e di "giustificabilita' delle scelte" - Corte dei conti, SS.RR., n. 522/A del 17 dicembre 1986), al fine di tutelare i principi di imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa. 3.2. - Le caratteristiche del giudizio di resa di conto e del giudizio di conto che ad esso accede sono pertanto radicalmente incompatibili con le prerogative e guarentigie che la Costituzione accorda ai consiglieri regionali, come puntualmente e correttamente confermato anche dall'ordinanza n. 17/2013 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con la quale e' stata respinta un'istanza del Procuratore Regionale analoga a quella cui, viceversa, la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana ha dato seguito con i decreti impugnati nella presente giudizio (doc. 8). La giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte ha da tempo ravvisato la possibilita' di instaurare un parallelismo tra le attribuzioni dei Consigli regionali e quelle proprie del Parlamento nazionale, pur riconoscendone la diversita', sulla considerazione che le prime sono espressione di autonomia, mentre le seconde si esplicano a livello di sovranita'. Da questa sostanziale diversita' si e' inferito, in particolare, che solo gli organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato possono godere di guarentigie derogatrici del normale ambito di esplicazione della giurisdizione, in ragione della loro posizione di assoluta indipendenza, dovendo escludersi ogni possibilita' di estensione agli organi assembleari e di governo delle Regioni (ex multis, sentt. nn. 110/1970, 129/1981, 292/2001, 337/2009). Il diverso livello di incidenza sul tessuto costituzionale che viene accordato ai Consigli regionali rispetto al Parlamento nazionale non impedisce pero', come rilevato anche dalla stessa giurisprudenza costituzionale, di rinvenire degli elementi di analogia tra le funzioni da. questi esercitate. Tale omogeneita' si rende tanto piu' evidente se si considerano le guarentigie accordate ai membri del Parlamento ex art. 68, primo comma, Cost., ed il regime di immunita' funzionali del quale godono i Consiglieri regionali ex art. 122, quarto comma, Cost., dal momento che esse accedono alla medesima ratio garantista, individuata da questa Ecc.ma Corte «nel "parallelismo con le guarentigie dei membri del Parlamento [...] in relazione al nucleo essenziale comune e caratterizzante delle finzioni degli organi "rappresentativi" dello Stato e delle Regioni", per finalita' di "tutela delle piu' elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis la finzione legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della volonta' politica"» (cosi' sent. n. 200 del 2008; cfr. anche sent. n. 69 del 1985). L'esigenza di rango costituzionale sottesa alla guarentigia in questione giustifica «deroghe eccezionali all'attuazione della finzione giurisdizionale» (ancora sent. n. 200 del 2008), per le quali questa Corte ha escluso qualsiasi possibilita' di estensione analogica, attesa la loro strumentalita' alla tutela delle funzioni di rappresentanza politica che solo al Consiglio competono. L'immunita' prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost. rileva come corollario indefettibile della natura delle attribuzioni del Consiglio regionale, le quali costituiscono esplicazione di autonomia costituzionalmente riconosciuta che si sostanzia in funzioni disciplinate tanto a livello costituzionale quanto a livello di fonti ordinarie (sent. n. 69 del 1985). Questa Ecc.ma Corte ha interpretato l'immunita' funzionale dettata dalla Costituzione nel senso della insindacabilita' non solo dell'esercizio di funzioni legislative, di indirizzo politico e di controllo, ma anche di quelle di autorganizzazione (cfr. sent. n. 70/1983) ad esse strumentali, rilevando come un'interpretazione restrittiva della stessa rischierebbe di frustrarne la ratio di tutela della libera formazione della volonta' politica. In particolare, si e' precisato che tra le funzioni presidiate da tale immunita' sono sicuramente comprese quelle relative all'amministrazione ed alla gestione dei fondi assegnati alla Presidenza del Consiglio regionale, in relazione ad attivita' legate strettamente all'esplicazione del mandato rappresentativo (cfr. sentt. nn. 392 del 1999 e 337 del 2009), atteso che «il criterio di delimitazione dell'immunita' consiliare non sta nella forma amministrativa degli atti [...], bensi' nella fonte attributiva delle finzioni stesse» (sent. n. 337 del 2009). Cosi', a mero titolo di esempio, la sent. n. 81 del 1975 ha ricondotto sotto la sfera della insindacabilita' sancita dall'art. 122, quarto comma, Cost. una delibera consiliare di approvazione della stipula di un contratto di assicurazione dei consiglieri regionali, perche' essa rappresentava una forma di «esplicazione di una funzione consiliare per garantire [...] l'autonomia del Consiglio». Da tutto cio' deriva che dell'immunita' funzionale riconosciuta ai consiglieri non possono non partecipare anche i gruppi consiliari ai quali essi necessariamente debbono afferire per l'esercizio dell'attivita' politica in seno al Consiglio, al fine di scongiurare interferenze e condizionamenti esterni nell'assunzione delle proprie determinazioni afferenti alla sfera di autonomia dell'Organo. I decreti di fissazione del termine per la presentazione del conto giudiziale che si contestano con il presente conflitto non solo assurgono ad indebita e surrettizia forma di controllo politico dell'operato del Consiglio (attesa, come sopra dimostrato, l'assoluta carenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l'instaurazione del giudizio per resa di conto), ma, nell'individuare come soggetto passivo il presidente dei gruppi stessi, rendono ancor piu' evidente la propria portata gravemente lesiva delle prerogative consiliari. Ne' a diversa conclusione potrebbe giungersi sulla considerazione dell'asserita vis espansiva dell'art. 103 Cost., atteso che appare evidente che l'estensione della giurisdizione della Corte dei conti incontra il limite di altri valori costituzionali, rispetto ai quali risulta recessiva. D'altronde questa Ecc.ma Corte ha da tempo affermato come l'area di insindacabilita' dei Consiglieri regionali, proprio perche' diretta non all'instaurazione di una irragionevole posizione di privilegio, bensi' a tutelarne la sfera di autonomia costituzionalmente riconosciuta (ex multis, sent. n. 289 del 1997), si estenda anche alla sfera di responsabilita' patrimoniale degli stessi, dal momento che i poteri di autonoma organizzazione dei quali dispone il Consiglio promanano direttamente dalla Costituzione. Con la sentenza n. 392 del 1999 questa Ecc.ma Corte ha escluso che il sindacato della Corte dei conti possa estendersi, in assenza di una preventiva interpositio legislatoris, anche ad attivita' inerenti l'amministrazione e gestione dei fondi di bilancio intestati alla Presidenza del Consiglio regionale, tanto che essi siano previsti per soddisfare le esigenze funzionali allo svolgimento di funzioni legislative o di indirizzo politico, quanto che accedano invece a funzioni di amministrazione attiva quando esse promanano direttamente dalla Costituzione e da leggi dello Stato. Al riguardo, risulta del tutto inconferente il riferimento all'art. 31, della legge 19 maggio 1976, n. 335 contenuto nei decreti impugnati. A prescindere dall'avvenuta abrogazione di tale disposizione ad opera del d.lgs. n. 76 del 2000 e fermo restando che la soluzione ermeneutica proposta dalla Corte dei conti e' comunque viziata da un'infondata sovrapposizione tra consiglieri regionali ed amministratori e dipendenti regionali (soggetti passivi di tale disciplina) che non trova cittadinanza nel nostro ordinamento, il parametro normativo cui e' opportuno riferirsi non e' individuabile nella, incontestata, sottoposizione di questi ultimi alla giurisdizione contabile, bensi' nella normativa statale (a partire dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853, sino ad arrivare ai piu' recenti interventi legislativi di cui alla legge n. 96 del 2012 e al d.l. n. 174 del 2012) in materia di contributi ai gruppi consiliari. La stessa legge n. 853 del 1973, in connessione con la posizione di indipendenza della quale gode in ragione delle proprie funzioni, attribuisce al Consiglio regionale autonomia contabile e funzionale, che viene pertanto ad accedere agli ambiti di insindacabilita' ex art. 122, quarto comma, ed impedisce di ammettere una ingerenza della giurisdizione nell'ambito dell'autorganizzazione del Consiglio. Privo di pregio risulta pertanto anche il parallelismo che i decreti impugnati costruiscono tra il sindacato giurisdizionale affidato ex art. 103 Cost. al giudice contabile ed il controllo di legittimita' e di regolarita' che l'art. 1, commi 9, 10, 11 e 12, del d.l. n. 174 del 2012 ha introdotto per le spese dei gruppi consiliari, rilevando il paradosso che si verrebbe a creare nell'ammettere che solo il sindacato giurisdizionale risulterebbe incompatibile con l'immunita' di cui all'art. 122, quarto comma, della. Costituzione. In primis, fermo restando che le pronunce della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nn. 12 e 15/2013 (docc. 9, 10) hanno ribadito la piena applicabilita' del controllo sui rendiconti dei gruppi consiliari ex d.l. n. 174/2012 solo a partire dal 2013, rilevando come il controllo relativo all'esercizio 2012 abbia mera «efficacia ricognitiva della regolarita' dei documenti contabili e si inserisce in un percorso finalizzato all'integrale applicazione dei nuovi controlli a decorrere dal 2013» (pronuncia n. 15/2013), la tesi della Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti prescinde dalla diversita' di funzioni spese nei due casi, giurisdizionali le une, di mero controllo le altre, e di riflesso dal diverso parametro costituzionale cui esse afferiscono (l'art. 103, secondo comma, Cost. per le prime, l'art. 100, secondo comma, Cost. per le seconde); in secundis, si ignora l'esegesi emergente in merito dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, come gia' sopra argomentato, ha sempre ricondotto i limiti esterni dell'insindacabilita' consiliare ex art. 122, quarto collima, Cost. all'esistenza di una espressa e positiva previsione di legge, che e' ben rinvenibile per la spendita di poteri di controllo ex art. 1, commi 9, 10, 11 e 12, del d.l. n. 174 del 2012, mentre manca del tutto - come si e' ampiamente illustrato - per l'instaurazione di un giudizio di resa di conto, il quale, pertanto, difetta in assoluto dei propri presupposti legittimanti. Orbene, appare evidente che se si aderisse all'argomento, fatto proprio dai decreti contestati, per cui l'esercizio del giudizio di conto sarebbe ampliabile in via interpretativa a prescindere da puntuali indicazioni normative, sfuggirebbe ad una lineare esegesi la stessa ratio del d.l. 174/2012, atteso che i poteri di controllo circa il corretto utilizzo dei contributi concessi ai gruppi consiliari si verrebbero a sovrapporre, in via del tutto paradossale, al giudizio di resa di conto, che gia' prima dell'introduzione della novella avrebbe ampiamente soddisfatto l'esigenza del rispetto della destinazione funzionale di tali fondi. Erra pertanto la Corte dei conti nel ritenere sufficiente ai fini dell'estensione della giurisdizione contabile l'assenza di «una espressa previsione negativa» (p. 25 del censurato decreto n. 13/2013, espressione rinvenibile anche negli altri decreti in questione), considerato che tale esegesi prescinde dalle prerogative costituzionalmente accordate al Consiglio regionale, e legittima una indebita forma di controllo che confligge con il preminente interesse alla libera formazione della volonta' politica consiliare. Cio' a prescindere dalla circostanza, gia' piu' sopra evidenziata, secondo la quale il menzionato art. 44, comma 1, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, offre proprio quella «espressa previsione negativa» non reperita dalla Corte dei conti nel caso di specie, ammettendo che quest'ultima possa giudicare «sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni» diverse da quelle statali solo ove cio' sia previsto «a termini di leggi speciali». 3.3. - L'art. 122, quarto comma, Cost., peraltro, risulta violato dai decreti impugnati da altri e piu' specifici punti di vista, derivanti dal modo in cui in concreto si e' sviluppata la vicenda de qua, risultando gravemente lese le prerogative costituzionali riconosciute ai consiglieri regionali da tale disposizione costituzionale, in relazione al concreto esercizio che essi ne hanno fatto. In altre parole, come si mostrera', gli atti in questa sede contestati non si limitano ad influire indebitamente sul procedimento di formazione della volonta' all'interno del Consiglio regionale, ma - piu' specificamente - pretendono di sindacare, nelle forme e con le modalita' proprie dei giudizi di conto affidati alla Corte dei conti, specifiche «opinioni espresse» e ben determinati «voti dati», in concreto e in piu' circostanze, da consiglieri regionali. A questo riguardo, deve essere osservato quanto segue. 3.3.1. - In primo luogo, si deve evidenziare che l'art. 16 del Regolamento 27 gennaio 2010, n. 12 (Regolamento interno dell'assemblea legislativa regionale), al suo comma 3, prevede che «il presidente del gruppo consiliare sottoscrive il rendiconto e ne e' responsabile», aggiungendo altresi' che il medesimo e' «tenuto a dichiarare in calce al rendiconto, sotto la propria responsabilita', che le spese sostenute dal gruppo sono conformi alla legge e al presente regolamento». Dunque, la normativa regionale vigente in materia di rendiconti dei gruppi consiliari prevede espressamente che i loro presidenti - membri del consiglio regionale, e dunque coperti inequivocabilmente dalla guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost. - rendano delle dichiarazioni aventi ad oggetto la conformita' del rendiconto alla legge e al regolamento interno del Consiglio, imponendo inoltre la sottoscrizione, sempre da parte dei presidenti, del rendiconto medesimo. Tale dichiarazione, ove effettivamente esistente, e' senza dubbio resa dai consiglieri regionali/presidenti dei gruppi nell'esercizio delle proprie funzioni, e rientra dunque inequivocamente nell'ambito di applicazione dell'art. 122, quarto comma, sopra citato. La sottoscrizione, dal canto suo, e' un atto con il quale il presidente fa proprio il contenuto del rendiconto, approvandolo. Essa equivale senz'altro ad un "voto" dato nell'esercizio delle funzioni del consigliere/presidente. Si consideri, al riguardo, che l'atto del voto ha precisamente l'effetto di far proprio, approvandolo, l'oggetto cui esso si rivolge. Tale approvazione, pero', si puo' esprimere mediante un atto formalmente qualificabile come "voto" solo quando si proceda alla deliberazione nell'ambito di un Organo collegiale. Risulta dunque evidente che l'approvazione del rendiconto da parte di un organo monocratico come il presidente del gruppo, pur essendo funzionalmente identica a quella che avviene mediante un voto in un organo collegiale, non puo' esprimersi mediante un, atto avente tale forma esteriore, trovando invece sostanza giuridica nella "sottoscrizione" che, ai sensi del citato art. 16, comma 3, del regolamento interno del Consiglio, deve essere apposta in calce al rendiconto. La sottoscrizione in parola, dunque, tiene luogo del voto nel caso di specie. Rappresenta il modo in cui trova forma e sostanza l'approvazione di un atto da parte di un consigliere regionale quando opera come organo monocratico endoconsiliare, ed e' dunque coperta dalla medesima guarentigia costituzionale di cui beneficia l'approvazione che, esprimendosi nell'ambito di un organo collegiale, trova forma esteriore in un "voto" in senso proprio. Da quanto appena esposto derivano alcune agevoli conclusioni. Ove i presidenti dei gruppi abbiano effettivamente apposto la propria sottoscrizione in calce al rendiconto, e ove abbiano contestualmente dichiarato la conformita' alle leggi e al regolamento delle spese in esso indicate, essi «non possono essere chiamati a rispondere» (art. 122, quarto comma, Cost.) per questi atti. Cio' invece e' precisamente quanto pretendono di realizzare i decreti della Corte dei conti indicati in epigrafe. La richiesta di resa del conto, e la connessa pretesa di esercitare il giudizio di conto nei confronti dei presidenti dei gruppi consiliari non sono altro, infatti, che il tentativo di assoggettare a giudizio, facendo valere la conseguente responsabilita', i presidenti dei gruppi per la coerenza delle spese documentate nel rendiconto con il diritto vigente. Va da se', ovviamente, che la "copertura" costituzionale a beneficio dei consiglieri-presidenti dei gruppi sussiste solo ove e nei limiti in cui le sottoscrizioni dei rendiconti, e le relative dichiarazioni, siano effettivamente esistenti. Ma che tale situazione ricorra nel caso di specie puo' essere agevolmente provato. Al riguardo, e' sufficiente fare riferimento alla documentazione prodotta (doc. nn. 11, 12, 13, 14), dalla quale risulta chiaramente la presenza della sottoscrizione, nonche' delle dichiarazioni di conformita', da parte dei presidenti dei gruppi consiliari, ciascuno per i rendiconti che gli competono, in riferimento agli esercizi finanziari degli anni 2010, 2011 e 2012 (tali dichiarazioni sono allegate alle delibere dell'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale di approvazione dei rendiconti medesimi). Gli atti in indicati in epigrafe, dunque, ledono gravemente la posizione costituzionale dei consiglieri regionali/presidenti dei gruppi consiliari, giacche' intendono chiamare questi ultimi a rispondere per voti dati ed opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, in palese violazione dell'art. 122, quarto comma, Cost. 3.3.2. - In secondo luogo, e' necessario notare come, ai sensi dell'art. 16, comma 5, del citato regolamento interno dell'assemblea legislativa, i rendiconti presentati dai presidenti dei gruppi consiliari siano sottoposti a «verifica» da parte dell'Ufficio di presidenza, il quale «li approva qualora non siano riscontrate irregolarita'». Come risulta chiaramente dall'art. 14 dello Statuto della Regione Toscana, l'Ufficio di presidenza e' composto integralmente da consiglieri regionali. I voti dati e le opinioni espresse in quel collegio, dunque, sono integralmente coperti dalla insindacabilita' di cui all'art. 122, quarto comma, Cost. Lo e' dunque, anche la formale approvazione che in essa avviene dei rendiconti dei gruppi consiliari. Per di piu', ove si consideri che, ai sensi del citato art. 16, comma 5, del regolamento, tale approvazione puo' avvenire solo nel caso in cui non si riscontrino irregolarita' dei rendiconti, non si puo' con concludere che essa valga non soltanto come "voto dato", ma anche come "opinione espressa", sia pure espressa per implicito, e avente per oggetto proprio la regolarita' dei rendiconti. La garanzia costituzionale offerta dall'art. 122, quarto comma, Cost., ovviamente, "copre" voti e opinioni che siano stati in concreto manifestati. Che cio' sia avvenuto nel caso di specie, per tutti i gruppi consiliari, risulta pero' con chiarezza dalle deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale (doc. nn. 11, 12, 13, 14) con cui sono stati approvati i rendiconti dei gruppi consiliari per tutti gli esercizi finanziari che qui rilevano (2010, 2011, 2012). Anche da questo punto di vista, dunque, non si puo' che ritenere che, con i decreti indicati in epigrafe e in questa sede contestati, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana abbia inteso sottopone a controllo atti costituzionalmente insindacabili in quanto coperti dalla guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost. 3.3.3. - C'e' un ulteriore aspetto della vicenda che mostra - al di la' di ogni possibile dubbio - come i decreti in epigrafe intendano sottoporre a controllo atti coperti dalla prerogativa della insindacabilita' dei consiglieri prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost. Come e' noto, infatti, il rendiconto presentato dai presidenti dei gruppi parlamentari e approvato dall'Ufficio di presidenza ai sensi dell'art. 16 del regolamento interno dell'assemblea legislativa, e' destinato poi a confluire nel rendiconto generale della Regione, il quale, a sua volta, e' ovviamente oggetto di una approvazione da parte del Consiglio, addirittura nelle forme della legge. Ebbene, anche in questo terzo passaggio procedimentale le spese sostenute dai gruppi consiliari, e documentate dai rendiconti presentati dai loro presidenti, vengono sottoposte ad un "voto" da parte dei consiglieri regionali, sia pure per aggregato. Nel caso di specie, il voto consiliare di approvazione del rendiconto generale si e' verificato per tutti e tre gli esercizi finanziari in discussione. Quello relativo all'anno 2010 e' stato approvato con la legge regionale 11 luglio 2011, n. 27 (Rendiconto generale per l'anno finanziario 2010); quello relativo all'anno 2011 con la legge regionale 18 giugno 2012, n. 31 (Rendiconto generale per l'anno finanziario 2011); quello relativo all'anno 201.2, infine, con la legge 15 luglio 2013, n. 36 (Rendiconto generale per l'anno finanziario 2012). Anche da questo punto di vista, dunque, con i decreti impugnati ed indicati in epigrafe la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Toscana pretende in costituzionalmente di assoggettare a giudizio di conto atti coperti dalla insindacabilita' ex art. 122, quarto comma, Cost., in quanto oggetto di "voto" da parte dei consiglieri regionali. 4. - In particolare: violazione degli artt. 101, secondo comma, 121, secondo comma, anche in relazione all'art. 134, primo comma, Cost. Con i decreti indicati in epigrafe e impugnati in questa sede, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, ha inoltre leso l'autonomia costituzionale della Regione Toscana interferendo gravemente con l'esercizio della funzione legislativa attribuita dall'art. 121 al Consiglio regionale, in violazione anche degli artt. 101, secondo comma, e 134, primo comma, Cost. Al riguardo, deve innanzi tutto prendersi le mosse dalla circostanza, segnalata appena piu' sopra, che i rendiconti generali della Regione Toscana per gli anni 2010, 2011 e 2012, nel cui ambito sono confluite - dopo l'approvazione singulatim da parte dell'Ufficio di presidenza - le spese documentate dai rendiconti dei gruppi consiliari dei medesimi anni in relazione ai quali il giudice contabile pretende di esercitare la propria giurisdizione, sono stati approvati mediante una legge regionale. In particolare, come gia' ricordato, si tratta rispettivamente delle leggi regionali n. 27 del 2011, 31 del 2012 e 36 del 2013. La richiesta di resa del conto ai presidenti dei gruppi consiliari, con la connessa pretesa di esercitare il conseguente giudizio di conto, equivale, infatti, alla pretesa di esercitare un controllo di regolarita' legislativa di quelle spese, documentate nel rendiconto dei gruppi, che sono successivamente confluite nel rendiconto generale approvato con legge. Tramite i decreti impugnati, dunque, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana innesca un procedimento volto ad esercitare un sindacato giurisdizionale avente per oggetto - almeno in parte qua - i contenuti della stessa legge di approvazione del rendiconto generale. Ove si consideri, inoltre, che tale sindacato potrebbe evidentemente giungere a contestare la correttezza delle spese rendicontate dai gruppi, con cio' producendo l'effetto di una sostanziale "disapplicazione" delle risultanze contabili del rendiconto generale approvate con legge dal Consiglio, ci si rende agevolmente conto di come, per il tramite degli atti in questa impugnati, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana realizzi un'indebita interferenza con la funzione legislativa affidata dall'art. 121, secondo comma. Cost., al Consiglio regionale, ed in concreto esercitata da quest'ultimo con le leggi regionali, sopra richiamate, nn. 27 del 2011, 31 del 2012 e 36 del 2013. Che tutto cio' realizzi un grave vulnus all'attribuzione costituzionale regionale, peraltro, risulta ben chiaro dalla considerazione dell'art. 134, primo comma, Cost., che prevede per le leggi regionali (insieme alle leggi statali e agli atti aventi forza di legge) il solo controllo di costituzionalita' da parte della Corte costituzionale, affermandosi corrispettivamente in Costituzione l'assoluta soggezione di qualunque giudice comune alla legge e dunque l'impossibilita', per chi esercita una qualunque funzione giurisdizionale comune, di "disapplicare" le fonti di rango legislativo (art. 101, secondo comma). Si tratta di un elemento che viene a comporre il regime giuridico dell'atto legislativo in quanto tale e che, secondo il noto insegnamento di autorevolissima dottrina (A.M. Sandulli), contribuisce a costituire il c.d. "valore di legge". Ebbene, con i decreti indicati in epigrafe ed in questa sede impugnati, la Corte dei conti palesemente nega il valore di legge dei rendiconti generali approvati con la forma della legge regionale, pretendendo di sottoporre al proprio giudizio, ed eventualmente disapplicare, quegli atti legislativi che, sia pure in aggregato, approvano e fanno propri i rendiconti dei gruppi consiliari e le spese in essi documentate. 5. - In particolare: violazione dell'art. 123, primo e secondo comma, Cost., e degli artt. 11, comma 2, 22 e 28, comma 1, dello Statuto della Regione Toscana, sotto il profilo della garanzia dell'autonomia contabile riconosciuta al Consiglio regionale. Come e' noto, le assemblee legislative regionali sono organi politico-amministrativi cui la Costituzione e la giurisprudenza costituzionale riconoscono una posizione di indipendenza connaturata alle proprie attribuzioni, che impedisce di ritenere compatibile qualsiasi assimilazione con i controlli cui sono sottoposti, gia' a norma della legge 19 maggio 1976, n. 335, i dipendenti regionali. L'art. 123, primo e secondo comma, Cost., affida, nelle forme di una "riserva" in senso proprio, la concreta strutturazione della posizione di autonomia del Consiglio regionale ad una fonte molto particolare dell'ordinamento regionale, ossia lo Statuto, approvato come e' noto dallo stesso Consiglio con un peculiare procedimento legislativo aggravato. Come gia' accennato, lo Statuto regionale della Toscana, in attuazione del citato art. 123 Cost., ha disciplinato la posizione del Consiglio regionale, conferendogli, per mezzo del suo art. 28, comma 1, «autonomia di bilancio, contabile, funzionale e organizzativa», nell'ambito dell'ordinamento contabile disciplinato mediante regolamento interno, «nel quadro dei principi della legge di contabilita' regionale», ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, nonche' del precedente art. 22. Questa importante previsione e' inoltre completata, per quel che qui piu' specificamente interessa, dall'art. 11, comma 2, del medesimo Statuto, il quale assegna al Consiglio il compito di approvare i rendiconti della Regione. L'autonomia contabile del Consiglio regionale accede direttamente all'autonomia politica dello stesso, quale elemento strumentale alla garanzia di effettiva indipendenza da interventi ed interferenze esterne, come reso evidente dal citato art. 28 dello Statuto regionale. L'esercizio del potere regolamentare consiliare e' preordinato alla predisposizione degli strumenti giuridici e patrimoniali indispensabili per l'effettiva autonomia del Consiglio, come reso evidente dall'art. 2, comma 3, della legge reg. 5 febbraio 2008, n. 4, che appositamente tutela l'autonomia del Consiglio regionale: «L'autonomia dell'Assemblea legislativa e' presupposto essenziale per l'efficace svolgimento delle fruizioni dell'assemblea stessa, con particolare riferimento a quelle: a) di rappresentanza della Comunita' Toscana; b) di legislazione, indirizzo politico, controllo, valutazione dei risultati delle politiche regionali; c) di promozione dei diritti e dei principi statutari e di verifica del loro stato di attuazione; d) di promozione della partecipazione dei cittadini all'attivita' del Consiglio regionale; e) di informazione e comunicazione istituzionale». L'importanza della autonomia contabile come corollario indefettibile della autonomia consiliare spiega perche', ai sensi dell'art. 7, della legge reg. n. 4 del 2008, all'approvazione del bilancio annuale concorrano tanto l'Ufficio di Presidenza quanto il Consiglio, e perche', di riflesso, l'art. 9 della suddetta legge strutturi l'autonomia contabile consiliare nel senso della non sottoposizione a controllo degli atti amministrativi e di gestione dei fondi ivi iscritti. E' pertanto pacifico che la riconosciuta autonomia contabile risulti presupposto per l'indipendente esercizio delle altre funzioni consiliari, in primis quelle legislative. Risulta pertanto di tutta evidenza che gli atti di gestione dei fondi messi a disposizione dell'attivita' politica consiliare, oltre ad accedere ad aree coperte da insindacabilita' ex art. 122, quarto comma, Cost., secondo quanto si e' posto in evidenza piu' sopra, risultano strumentali all'esigenza di tutelare le piu' elevate funzioni di rappresentanza politica dal rischio di ingerenze esterne che ne minerebbero l'autonomia. Orbene, la natura giuridica del giudizio di resa di conto (e del giudizio di conto che ad esso fa seguito) risulta incompatibile con tali guarentigie. Avendo ad oggetto la gestione complessiva delle risorse pubbliche attribuite al Consiglio, esso coinvolge irrimediabilmente anche atti che, per il loro rilievo normativo e gestionale, si presentano quali atti di indirizzo e programmazione. Esso incide pertanto sul nucleo stesso dell'autonomia consiliare e dell'autonomia contabile che ad essa accede, risolvendosi in un giudizio penetrante sul merito del positivo perseguimento degli obiettivi posti dalle norme all'agire amministrativo, sull'efficacia dell'azione amministrativa, sulla congruita' dei risultati nel rapporto costi - ricavi - benefici, sulla stessa efficienza delle strutture consiliari. La natura di tale potere impedisce di ritenerlo riferibile all'attivita' di gestione dei fondi assegnati al Consiglio per le esigenze funzionali all'autonomia costituzionalmente riconosciuta delle proprie attribuzioni. Anche sotto questo profilo, pertanto, i decreti indicati in epigrafe, e in questa sede impugnati, interferiscono indebitamente con l'autonomia statutaria di autorganizzazione costituzionalmente riconosciuta alla Regione, e con il modo in cui tale autonomia e' stata concretamente esercitata nello Statuto della Regione Toscana mediante, in particolare, la previsione dell'autonomia contabile del Consiglio.