Ricorso per conflitto della Regione  Toscana  (codice  fiscale  e
partita I.V.A.: 01386030488), in persona del Presidente pro  tempore,
autorizzato con delibera della Giunta Regionale 800 del 30  settembre
2013, rappresentato e difeso, come da mandato in  calce  al  presente
atto, dall'avv. Lucia  Bora  dell'Avvocatura  della  Regione  Toscana
(codice  fiscale:  BROLCU57M59B157V)  e  dall'avv.   prof.   Marcello
Cecchetti (codice fiscale: CCCMCL65E02H501Q), presso  il  cui  studio
elegge  domicilio  in  Roma,  via  Antonio  Mordini  n.  14  (e-mail:
marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it); 
    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri pro tempore in carica, per: 
      La dichiarazione di  non  spettanza  alla  Corte  dei  Conti  -
Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Toscana  del  potere   di
richiedere il deposito dei conti giudiziali ai gruppi consiliari  del
Consiglio della Regione Toscana riferibili  alle  annualita'  2010  -
2011 - 2012; 
      e, per l'effetto, l'annullamento dei decreti nn.  13,  14,  15,
16,  17,  18,  19/2013  emanati  dalla  Corte  dei  Conti  -  Sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana  in  data  10  luglio  2013  e
depositati in segreteria della Corte dei Conti in data 8 agosto 2013,
con i quali il predetto potere giurisdizionale e' stato  affermato  e
concretamente esercitato. 
 
                                Fatto 
 
    In data 11 aprile 2013 il Procuratore regionale della  Corte  dei
conti inoltrava alla Sezione giurisdizionale  regionale  della  Corte
medesima sette istanze per resa di conto ai sensi dell'art.  39,  del
regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, per l'emanazione  del  decreto
di fissazione del  termine  per  il  deposito  da  parte  dei  gruppi
Consiliari del Consiglio regionale della Toscana dei conti giudiziali
relativi alla gestione dei fondi pubblici regionali -  integranti  il
contributo previsto dalla legge regionale  n.  60/2000  e  successive
modificazioni ed integrazioni - e accreditati,  nel  corso  della  IX
Legislatura regionale, per gli anni 2010 - 2011 - 2012. 
    La Corte dei conti  -  Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Toscana, all'esito della Camera di  consiglio  del  10  luglio  2013,
emanava i decreti nn. 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19 del 2013  (docc.  1,
2, 3, 4, 5, 6, 7)  con  i  quali  -  individuato  l'agente  contabile
legittimato passivo del giudizio per resa di  conto  ai  sensi  degli
artt. 44 ss. del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 nelle  persone
dei Presidenti  pro  tempore  dei  gruppi  consiliari  oggetto  della
predetta istanza - assegnava agli stessi il termine di giorni novanta
per il deposito dei conti giudiziali relativi alla gestione  per  gli
anni 2010 - 2011 - 2012. Segnatamente: 
      con decreto n. 13/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "Gruppo Misto" il deposito dei  predetti  conti
giudiziali; 
      con decreto n. 14/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "Lega Nord Toscana/piu'  Toscana"  il  deposito
dei predetti conti giudiziali; 
      con decreto n. 15/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "Unione di Centro"  il  deposito  dei  predetti
conti giudiziali; 
      con decreto n. 16/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del  Gruppo  consiliare  "Federazione  della  Sinistra  -  Verdi"  il
deposito dei predetti conti giudiziali; 
      con decreto n. 17/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "Italia dei Valori" il  deposito  dei  predetti
conti giudiziali; 
      con decreto n. 18/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "Partito Democratico" il deposito dei  predetti
conti giudiziali; 
      con decreto n. 19/2013, si intimava al Presidente  pro  tempore
del Gruppo consiliare "il Popolo  della  Liberta'"  il  deposito  dei
predetti conti giudiziali. 
    Preme sin da ora rilevare  come  l'intimazione  al  deposito  dei
conti giudiziali contenuta nei citati decreti  non  abbia  precedenti
nella storia dell'ordinamento regionale repubblicano; non solo, ma la
stessa segue la conclusione del  controllo  sul  rendiconto  generale
della Regione Toscana effettuato, con giudizio di parifica  positivo,
ai  sensi  della  nuova  normativa   contenuta   nell'art.   1,   del
decreto-legge n. 174 del 10 ottobre 2012, convertito in  legge  dalla
legge 7 dicembre 2012, n. 213. 
    I provvedimenti giurisdizionali avverso i quali si ricorre con la
proposizione del presente  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione
risultano  adottati  in  carenza  assoluta  di  giurisdizione  e,  al
contempo,  ledono  l'autonomia  costituzionalmente  garantita   della
Regione e, in particolare, del Consiglio regionale e dei suoi singoli
componenti. 
    Il presente conflitto, pertanto, e' fondato  su  due  concorrenti
presupposti:  da  un  lato,  la  radicale  insussistenza  del  potere
giurisdizionale che la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale  per
la Regione Toscana ha preteso di affermare ed esercitare in  concreto
mediante l'attivazione del giudizio di resa del conto  a  carico  dei
Presidenti dei gruppi consiliari; dall'altro, la  conseguente  palese
interferenza  che  da  tale  pretesa  deriva  nei   confronti   delle
attribuzioni costituzionalmente spettanti  alla  Regione  e  ai  suoi
organi  consiliari,  sotto  il  profilo  della  attuale  e   concreta
menomazione delle medesime. 
    Ambedue i presupposti trovano fondamento nei  motivi  di  seguito
esplicitati. 
    In via preliminare, sull'ammissibilita' del presente ricorso  per
conflitto di attribuzioni. 
    Come  e'  noto,  la  giurisprudenza  di  questa   Ecc.ma.   Corte
Costituzionale    ammette    pacificamente    «che    il    conflitto
intersoggettivo   possa   riguardare    anche    atti    di    natura
giurisdizionale, con l'unico limite che esso non  si  risolva  in  un
mezzo improprio di censura  del  modo  di  esercizio  della  funzione
giurisdizionale, valendo, contro gli errori in iudicando, di  diritto
sostanziale  o  processuale,  i  consueti   rimedi   previsti   dagli
ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni» (cosi' sent.  n.
195/2007; cfr. inoltre, ex multis, sentt. nn. 72 e 81/2012). 
    I  decreti  che  qui  si  censurano  -  pacificamente  di  natura
giurisdizionale (ai sensi degli artt. 44 ss.  del  regio  decreto  n.
1214/1934, ed a fortiori dell'art. 103, secondo comma, Cast.  che  ne
costituisce il fondamento  costituzionale)  e  gia'  riconosciuti  da
questa Corte (a partire dalla sent.  n.  110  del  1970)  quali  atti
idonei a costituire il presupposto di un  conflitto  di  attribuzioni
tra Stato  e  Regioni  -  esprimono  in  modo  chiaro  ed  inequivoco
l'affermazione (clamorosamente erronea e infondata, come  si  vedra')
della sussistenza di un potere giurisdizionale spettante  alla  Corte
dei conti e la  relativa  pretesa  di  esercitarlo  in  concreto  nei
confronti  dei  Presidenti  dei  gruppi  consiliari   intimati,   con
conseguente sicura interferenza, sotto il profilo  della  menomazione
attuale   e   concreta,   rispetto    a    molteplici    attribuzioni
costituzionalmente garantite alla Regione e all'assemblea legislativa
regionale,  nonche'  alle  prerogative  costituzionali  dei   singoli
consiglieri. 
    Come gia' sostenuto da questa Ecc.ma Corte nella sent. n. 129 del
1981, «tale prospettazione e' sufficiente a dimostrare che "esiste la
materia di un conflitto" (in base all'art. 37,  quarto  comma,  della
legge n. 87 del 1953), anche se nei casi in esame non si  controverte
circa la spettanza di una stessa attribuzione, ma circa  l'estensione
della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel  rapporto  con
l'autonomia  organizzativa  e  funzionale  rivendicata»  dall'odierna
ricorrente; «e' infatti consolidato, nella giurisprudenza  di  questa
Corte, il criterio per cui la figura dei conflitti  di  attribuzione,
sia tra lo Stato e le Regioni sia tra i poteri dello Stato,  "non  si
restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del
medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per
se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo
esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro  soggetto"  (cfr.
la sentenza n. 110 del 1970)». 
    L'idoneita' lesiva dei suddetti decreti sostanzia  in  capo  alla
ricorrente Regione Toscana l'interesse  alla  tutela  dell'integrita'
della propria  sfera  di  autonomia,  cosi'  come  sancita  da  norme
costituzionali o norme primarie direttamente integrative o  attuative
di  norme  di  rango  Costituzionale  (cfr.,  ex  multis,  sent.   n.
238/2012). Cio' a maggior ragione se si considera che, come affermato
da  questa  Ecc.ma  Corte,  la   lesione   di   poteri   propri   dei
rappresentanti di un  ente  dotato  di  autonomia  costituzionalmente
protetta  si  estende   anche   all'autonomia   dell'ente   medesimo,
avvalorando  ulteriormente  l'interesse  alla  tutela  delle  proprie
attribuzioni (cfr., ex multis, sentt. nn. 211/1972 e 163/1997). 
    L'iniziativa   del   Procuratore   regionale   cui   la   Sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti ha  dato
corso travalica  i  limiti  esterni  della  giurisdizione  contabile,
concretizzando l'attivazione di un giudizio in  carenza  assoluta  di
potere giurisdizionale, senza che vengano in alcun modo in  questione
profili concernenti  le  concrete  modalita'  di  esercizio  di  tale
funzione. Gli atti  che  in  questa  sede  si  impugnano  realizzano,
altresi',  una  concreta  ed  attuale   lesione   delle   prerogative
costituzionalmente attribuite alla Regione, in violazione degli artt.
5, 101, secondo comma, 103, secondo comma, 114, 117, 119,  121,  122,
quarto comma, 123, anche in  relazione  all'art.  134,  primo  comma,
Cost. e, quali norme  interposte,  degli  artt.  9  (prerogative  dei
Consiglieri), 11  (funzioni  del  Consiglio  regionale),  16  (gruppi
consiliari), 17 (Presidenti dei gruppi consiliari),  22  (regolamento
del Consiglio regionale) e 28  (autonomia  del  Consiglio  regionale)
dello Statuto della Regione Toscana. 
    Tanto doverosamente  premesso  in  punto  di  ammissibilita'  del
ricorso, i decreti della Corte dei Conti  -  Sezione  giurisdizionale
per la Regione Toscana menzionati in epigrafe ledono l'autonomia e le
attribuzioni costituzionali della  Regione  Toscana  per  i  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1.  -  Carenza  assoluta  di  giurisdizione   per   difetto   dei
presupposti oggettivi di instaurazione del giudizio di resa di  conto
e del giudizio di conto. Violazione degli artt. 101, secondo comma, e
103,  secondo  comma,  della   Costituzione.   Violazione   e   falsa
applicazione degli artt. 44 e 45 del regio decreto 12 luglio 1934, n.
1214, nonche' dell'art. 39 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038.
Lesione delle  attribuzioni  regionali  costituzionalmente  garantite
dagli artt. 5, 114, 117, 119, 121 e 123 della Costituzione, anche  in
riferimento agli artt. 9, 11, 16, 17, 22 e  28  dello  Statuto  della
Regione Toscana. 
    1.1. - Con i decreti indicati in epigrafe e impugnati  in  questa
sede, la Corte dei conti - Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Toscana ha affermato  esplicitamente  la  sussistenza  della  propria
giurisdizione contabile  nei  confronti  dei  Presidenti  dei  gruppi
consiliari, ritenendo assoggettabili  al  procedimento  di  resa  del
conto e al conseguente giudizio  di  conto  i  rendiconti  da  questi
predisposti e sottoscritti in ordine  alla  gestione  dei  contributi
ricevuti dai gruppi a carico del bilancio del Consiglio regionale. 
    Tale affermazione e' gravemente  erronea,  in  quanto  del  tutto
priva di fondamento e palesemente contrastante con il vigente  quadro
normativo che configura  l'ambito  e  i  limiti  delle  giurisdizioni
speciali affidate alla Corte di conti. 
    Come e' noto, l'art. 103, secondo comma, Cost. stabilisce, in via
generale, che «la Corte dei conti ha giurisdizione nelle  materie  di
contabilita' pubblica e nelle altre specificate dalla legge». Orbene,
nella presente sede si  puo'  senz'altro  prescindere  dall'antica  e
dibattuta  questione  circa  la  necessita'   o   meno   della   c.d.
"interpositio legislatoris" ai fini della compiuta definizione  degli
ambiti   spettanti   alla   giurisdizione   contabile.   La   vigente
legislazione nazionale, infatti, individua in  termini  inequivoci  e
con estrema puntualita' l'ambito oggettivo del  "giudizio  di  conto"
spettante alla Corte dei conti, stabilendo, all'art. 44, comma 1, del
regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, che quest'ultima «giudica, con
giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri,  dei  ricevitori,
dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di  pagare,  di
conservare e di maneggiare denaro pubblico o di  tenere  in  custodia
valori e materie di proprieta'  dello  Stato,  e  di  coloro  che  si
ingeriscono  anche  senza  legale  autorizzazione   negli   incarichi
attribuiti  ai  detti  agenti»,  aggiungendo,   al   secondo   comma,
l'ulteriore precisazione secondo la quale «la Corte giudica pure  sui
conti dei tesorieri ed  agenti  di  altre  pubbliche  amministrazioni
[diverse da quelle statali] per quanto le spetti a termini  di  leggi
speciali». 
    Si tratta di un dato normativo  assolutamente  dirimente  per  il
caso di specie. 
    E' evidente, infatti, che - contrariamente a quanto affermato nei
decreti da cui origina il presente conflitto (cfr., ad es.,  i  parr.
3.4 e 3.5 del decreto n. 13 /2013) circa la non necessarieta' di  una
esplicita interpositio  legislatoris  ai  fini  della  configurazione
dell'obbligo di resa del conto giudiziale «in ogni caso in cui vi sia
maneggio di pubblico denaro e piu' in particolare, allorquando,  come
si verifica in fattispecie (...) pubblico sia l'ente per il quale  il
soggetto agisce, pubblico sia il denaro utilizzato e pubbliche  siano
le finalita' perseguite», asseritamente  in  forza  di  un  principio
generale ricavabile dall'art. 610  del  Regolamento  di  contabilita'
generale  dello  Stato  (R.D.  23  maggio  1924,  n.  827)  e   della
giurisprudenza delle  Sezioni  Unite  della  Corte  di  cassazione  -
l'interpositio legislatoris in riferimento specifico al "giudizio  di
conto" si e' concretamente  ed  esplicitamente  realizzata,  mediante
l'espressa previsione legislativa secondo la quale tale giurisdizione
della Corte dei conti puo'  estendersi  ai  conti  dei  tesorieri  ed
agenti delle amministrazioni non statali solo ed esclusivamente se  e
nei limiti in cui sia espressamente contemplata da leggi speciali.  E
poiche' non esiste  nell'ordinamento  alcuna  disciplina  legislativa
speciale che preveda l'obbligo di resa del conto giudiziale a  carico
dei Presidenti dei  gruppi  consiliari  regionali  e  la  conseguente
assoggettabilita' di questi ultimi al  giudizio  di  conto  spettante
alla Corte dei conti (alcunche'  e'  rinvenibile,  al  riguardo,  ne'
nella legge n. 853 del 1973 sull'autonomia contabile e funzionale dei
Consigli regionali, ne' nell'art. 31, della legge n. 335 del  1976  o
nell'art. 33 del d.lgs. n. 76 del  2000  che  lo  ha  sostituito  con
contestuale abrogazione),  e'  del  tutto  evidente  che  la  Sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana, con i decreti  impugnati,  ha
ritenuto   di   pronunciarsi   in   carenza   assoluta   di    potere
giurisdizionale, incorrendo altresi' in una palese  quanto  clamorosa
ipotesi di "disapplicazione" della legislazione  vigente  e  violando
contestualmente gli artt. 101, secondo comma, e 103,  secondo  comma,
Cost., nonche' le chiarissime previsioni  dell'art.  44,  del  citato
regio decreto n. 1214 del 1934 e del  connesso  art.  39,  del  regio
decreto n. 1038 del 1933, che a quest'ultimo rimanda nel disciplinare
il potere del Procuratore generale  presso  la  Corte  dei  conti  di
promuovere il giudizio di conto a carico dei soggetti  che  risultino
obbligati alla resa del conto medesimo. 
    D'altra parte, i decreti da cui  origina  il  presente  conflitto
difettano in assoluto dei presupposti oggettivi  per  l'instaurazione
del giudizio di  resa  di  conto,  quale  giudizio  strumentale  alla
instaurazione del successivo giudizio di conto, anche da  un  secondo
punto di vista. 
    Nel caso di  specie,  invero,  il  giudizio  di  resa  di  conto,
sollecitato dalla Procura e assentito dalla Sezione  giurisdizionale,
si fonda su elementi non sussumibili in alcun modo nell'ambito  delle
specifiche fattispecie previste dall'art. 45, del  regio  decreto  n.
1214 del 1934. Il comma 2 di tale disposizione stabilisce infatti che
«il  giudizio  puo'  essere  iniziato  dietro  istanza  del  pubblico
ministero  per  decreto  della  competente  sezione,  da  notificarsi
all'agente, con la fissazione di un termine a presentare il conto nei
casi: 
      a) di cessazione degli  agenti  dell'amministrazione  del  loro
ufficio; 
      b) di deficienze accertate dall'Amministrazione; 
      c) di ritardo a presentare i conti nei  termini  stabiliti  per
legge o per regolamento. 
    La stessa giurisprudenza costituzionale (ex  multis,  sentt.  nn.
337/2009; 337/2005; 100/1995; 209/1994; 104/1989)  si  e'  curata  di
precisare che i poteri  di  controllo  in  punto  di  responsabilita'
contabile  e  amministrativa  riconosciuti  in  capo  al  Procuratore
Regionale della Corte  dei  Conti  (dalla  cui  istanza  originano  i
decreti  contestati  nel  presente  giudizio)  in  tanto  si  possono
legittimamente  esplicare,  in  quanto  esercitati  in  presenza   di
circostanze   che   facciano   ragionevolmente   presumere   illeciti
produttivi di danno erariale (come peraltro desumibile dall'art.  17,
comma 30-ter, del  decreto-legge  n.  78/2009,  come  modificato  dal
decreto-legge n. 103/09, convertito in 1. n. 141/09), al fine di  non
denaturare in un generalizzato potere di controllo. 
    Nel caso di specie non sussiste evidentemente  alcuna  delle  tre
ipotesi   cui   la   citata   disposizione   legislativa    riconduce
l'esperibilita' del giudizio per resa di conto: non vi e'  cessazione
degli agenti  dell'amministrazione,  ne'  deficienze  accertate,  ne'
ritardo nella presentazione dei conti (ritardo che, in ogni caso, non
e' stato neppure formalmente contestato ne' avrebbe  potuto  esserlo,
non essendo reperibile alcun termine di legge o di regolamento per la
presentazione del conto giudiziale da parte dei presidenti dei gruppi
consiliari). 
    1.2. - Dalla carenza assoluta della giurisdizione affermata dalla
Corte  dei  conti  per   difetto   dei   presupposti   oggettivi   di
instaurazione del  giudizio  per  resa  di  conto  e  del  successivo
giudizio di conto, oltre che una conclamata violazione dei  parametri
costituzionali  e  legislativi  che  delimitano   i   confini   della
giurisdizione contabile, deriva una palese menomazione dell'autonomia
riconosciuta  al  Consiglio   regionale,   atteso   che   l'affermata
assoggettabilita' dei rendiconti dei gruppi consiliari al giudizio di
conto introduce  una  forma  surrettizia  di  controllo  sull'operato
consiliare, generalizzata e diffusa, che - come si  e'  visto  -  non
trova alcun riscontro nel quadro normativa di riferimento e che, come
meglio  si'  dira'  nei  paragrafi   che   seguono   -   interferisce
pesantemente sulle attribuzioni e le prerogative  di  un  organo,  il
Consiglio  regionale  (nel  suo  complesso   e   nei   suoi   singoli
componenti), cui le norme costituzionali (in particolare,  gli  artt.
5, 114, 121, 122 e 123 Cost. e, quale  nonna  interposta,  l'art.  28
dello Statuto regionale) hanno conferito ampia autonomia politica  ed
organizzativa,  in  quanto  organo  rappresentativo  della  comunita'
regionale. 
    Tali risultanze sono avvalorate - e non invece disattese come  si
sostiene nei decreti impugnati - dagli innovativi e  piu'  penetranti
poteri di controllo che il d.l. n. 174 del 2012  ha  attribuito  alla
Corte dei conti, con particolare riferimento ai rendiconti dei gruppi
consiliari (cfr., spec., art. 1, commi 9, 10, 11 e 12).  Il  suddetto
intervento legislativo si e' curato di disciplinare un  nuovo  ambito
di esplicazione del potere di controllo della Corte dei  conti  (come
desumibile  anche  dalla  rubrica   dell'art.   1,   che   parla   di
«rafforzamento» di tale potere), che a tutta evidenza, prima di esso,
non era ricavabile in via analogica ne'  dalle  attribuzioni  di  cui
all'art. 100, secondo  comma,  Cost.,  ne',  a  fortiori,  da  quelle
derivanti dall'art. 103, secondo comma, Cost. 
    Aderendo alla tesi sostenuta dalla  Corte  dei  conti  -  Sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana, sfuggirebbe  ad  una  lineare
comprensione la stessa ratio del nuovo istituto, atteso che i  poteri
di controllo circa il corretto utilizzo dei  contributi  concessi  ai
gruppi consiliari si verrebbero  a  sovrapporre,  in  via  del  tutto
paradossale, all'obbligo di presentazione del conto giudiziale  e  al
giudizio di resa di conto, che  gia'  prima  dell'introduzione  della
novella  avrebbero  potuto  ampiamente  soddisfare   l'esigenza   del
rispetto della destinazione funzionale di tali fondi. 
    1.3. - I decreti in epigrafe esplicano efficacia lesiva, sotto il
profilo della menomazione di attribuzioni  costituzionali,  anche  in
relazione  all'autonomia  statutaria,  all'autonomia  legislativa  ed
all'autonomia  finanziaria,  rispettivamente  riconosciute   all'ente
Regione dagli artt. 123, 117 e 119 Cost. 
    Nell'instaurare una forma surrettizia di  controllo  dell'operato
consiliare mediante l'affermazione di un  potere  giurisdizionale  in
realta' inesistente, la Corte dei conti viene a ledere in concreto le
modalita' con le quali  Regione  Toscana  ha  esercitato  le  proprie
potesta' statutaria, legislativa e finanziaria in materia. I  decreti
che qui si censurano, infatti, prescindono totalmente dalla normativa
regionale, che pure esiste ed e'  invero  informata  ai  principi  di
corretta ed efficace gestione delle pubbliche risorse. 
    In particolare, sulla base delle previsioni contenute negli artt.
16 e 28 dello Statuto regionale, tanto la legge regionale 5  febbraio
2008, n.  4,  che  appositamente  tutela  l'autonomia  del  Consiglio
regionale, quanto la recente legge regionale 27 dicembre 2012 n.  83,
regolatrice del finanziamento dei gruppi consiliari, si  sono  curate
di disciplinare puntualmente le modalita' di corretta rendicontazione
e gestione delle risorse consiliari. Emerge dalla normativa regionale
la  chiara  intenzione  di  predisporre  i  piu'   idonei   strumenti
giuridici,  procedurali  e  sostanziali,  per  recepire   i   criteri
direttivi contenuti nel d.l. n. 174/2012  al  fine  di  agevolare  la
correttezza nella gestione delle risorse  pubbliche  e  il  controllo
contabile da esso previsto. Si disciplina cosi' puntualmente la. fase
di erogazione del contributo (artt. 1 e 4),  i  criteri  che  debbono
informarne l'utilizzo (art. 3: «Il contributo  e'  assegnato  e  puo'
essere utilizzato esclusivamente  per  gli  scopi  istituzionali  dei
gruppi, riferiti all'attivita' del Consiglio regionale, ivi  comprese
le attivita' di studio, editoria e  comunicazione,  esclusa  in  ogni
caso la possibilita' di finanziare, direttamente o indirettamente, le
spese di funzionamento degli organi centrali e periferici dei partiti
o dei movimenti politici  e  delle  loro  articolazioni  politiche  o
amministrative o di altri rappresentanti  interni  ai  partiti  o  ai
movimenti politici»), e soprattutto le modalita' di rendicontazione e
di pubblicita' di cui all'art. 6, ai sensi del quale: 
      «1. Ciascun gruppo consiliare approva e trasmette al Presidente
del Consiglio regionale, entro quarantacinque giorni  dalla  chiusura
dell'esercizio, il rendiconto annuale delle spese sostenute,  con  la
relativa documentazione, redatto secondo  il  modello  allegato  alla
deliberazione della Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  6
dicembre 2012, n. 235/CSR [...]; 
      2.  Il  presidente  del  gruppo   consiliare   sottoscrive   il
rendiconto e ne e' responsabile; 
      3. Ciascun consigliere appartenente al gruppo misto sottoscrive
il rendiconto relativo alle proprie spese e ne e' responsabile; 
      4. Il Presidente del Consiglio regionale inoltra  i  rendiconti
al Presidente della Giunta regionale il quale, entro sessanta  giorni
dalla chiusura dell'esercizio, li trasmette alla  competente  sezione
regionale di controllo della Corte dei  conti  ai  sensi  e  per  gli
effetti dell'art. 1, commi 10, 11 e 12, del decreto-legge 10  ottobre
2012, n. 174 [...]; 
      5. Per i gruppi consiliari cessati,  per  qualsiasi  causa,  il
rendiconto per l'anno di cessazione e' trasmesso  al  Presidente  del
Consiglio regionale, ai fini del comma 4, entro quarantacinque giorni
dalla cessazione stessa; 
      6. Nell'ultimo anno della legislatura il rendiconto riferito al
periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la  data  antecedente  alla
prima seduta del nuovo Consiglio regionale e' trasmesso al Presidente
del Consiglio regionale, ai fini del comma  4,  entro  quarantacinque
giorni dalla data delle elezioni; 
      7. I rendiconti e la deliberazione con la quale  la  Corte  dei
conti  si  pronuncia  sulla  loro  regolarita'  sono  pubblicati  sul
Bollettino ufficiale della  Regione  Toscana  in  allegato  al  conto
consuntivo del Consiglio regionale; 
      8. Il Presidente del Consiglio regionale, mediante i competenti
uffici consiliari, cura la pubblicazione sul sito  istituzionale  del
Consiglio regionale dei documenti di cui al comma 7,  e  di  tutti  i
dati   relativi   al   finanziamento   dell'attivita'   dei   gruppi,
assicurandone la disponibilita' per via telematica ai sensi dell'art.
2, comma 1, lettera  l),  del  d.l.  174/2012,  convertito  dalla  l.
213/2012; 
      9. Nel caso di mancata  trasmissione  o  di  irregolarita'  del
rendiconto  e  della  documentazione  a   corredo,   o   di   mancata
regolarizzazione entro il termine  fissato,  o  di  deliberazione  di
11011 regolarita' del conto da parte della  sezione  regionale  della
Corte dei conti, si applicano le disposizioni dell'art. 1, commi 11 e
12 del d.l. 174/2012, convertito dalla l. 213/2012, e si procede alle
forme  di  pubblicita'  previste  dai  commi  7  ed  8  del  presente
articolo». 
    Per quanto piu' specificamente rileva in  relazione  al  presente
giudizio, deve  sottolinearsi  che  un'analoga  disciplina  era  gia'
contenuta  anche  nella  previgente  legge  regionale   n.   60/2000,
applicabile  ratione  temporis  alle  risorse  assegnate  ai   gruppi
consiliari per gli esercizi 2010, 2011 e 2012, la quale rimetteva  al
Regolamento  interno  del  Consiglio  la  disciplina  dei  rendiconti
annuali delle spese sostenute dai gruppi consiliari e delle modalita'
di approvazione e di pubblicazione dei suddetti rendiconti  (cfr.  le
analitiche previsioni  contenute  nell'art.  16  del  Regolamento  27
gennaio 2010, n. 12). 
    Da tutto quanto fin qui esposto,  scaturiscono  i  vizi  eccepiti
nell'epigrafe del presente motivo di censura. 
    2.  -  Carenza  assoluta  di  giurisdizione   per   difetto   dei
presupposti soggettivi di instaurazione del giudizio di resa di conto
e del giudizio di conto. Violazione degli artt. 101, secondo comma, e
103,  secondo  comma,  della   Costituzione.   Violazione   e   falsa
applicazione degli artt. 44 e 45, del regio decreto 12  luglio  1934,
n. 1214, nonche' dell'art. 39, del regio decreto 13 agosto  1933,  n.
1038.  Lesione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite dagli artt. 5, 114, 117, 119, 121 e 123 della Costituzione,
anche in riferimento agli artt. 9, 11, 16, 17, 22 e 28 dello  Statuto
della Regione Toscana. 
    2.1. - La  carenza  assoluta  della  giurisdizione  affermata  ed
esercitata dalla Corte  dei  conti  con  i  decreti  impugnati  e  le
conseguenti  menomazioni   delle   sfere   di   autonomia   regionale
costituzionalmente  garantite  risultano  evidenti  anche  sotto   il
profilo  del  palese   difetto   dei   presupposti   soggettivi   per
l'instaurazione del giudizio di  resa  del  conto  e  del  successivo
giudizio di conto. 
    Il procedimento per resa di conto, come  e'  noto,  assume  quale
presupposto indefettibile la qualifica di "agente contabile" in  capo
al soggetto che vi e' sottoposto, la quale postula una sua previa  ed
espressa determinazione da parte di fonti legislative o, comunque, di
fonti normative interne  a  ciascuna  Amministrazione.  E'  pacifico,
infatti, che nell'ambito degli Enti pubblici, ed in particolare delle
Autonomie territoriali, gli "agenti contabili" siano figure tipizzate
che  debbono  essere  formalmente  e  direttamente  investite   della
relativa funzione o dalla  legge  o  dalle  disposizioni  interne  di
ciascuna  Amministrazione.  Orbene,  come  in  parte   si   e'   gia'
illustrato, ne' a. livello di legislazione nazionale (in particolare,
legge n. 853/1973, in merito all'autonomia contabile e funzionale dei
Consigli Regionali, nonche' d.lgs. n. 76  del  2000,  in  materia  di
bilancio  e  di  contabilita'  delle  Regioni)  ne'  a   livello   di
legislazione regionale si rinvengono disposizioni  che  attribuiscano
la qualifica di "agente  contabile"  tenuto  alla  presentazione  del
conto giudiziale ai presidenti  dei  gruppi  consiliari  od  ai  loro
componenti, con conseguente sottoposizione degli stessi al  sindacato
della Corte dei Conti in sede di giudizio di conto. 
    Al contrario, l'art. 28 dello Statuto della Regione  Toscana,  in
ossequio all'esplicita riserva contenuta nell'art.  123  Cost.  nelle
materie della «forma di governo»  e  dei  «principi  fondamentali  di
organizzazione e funzionamento» della Regione, riconosce in  capo  al
Consiglio Regionale «autonomia di bilancio, contabile, funzionale  ed
organizzativa»,  aggiungendo   che   «l'ordinamento   contabile   del
consiglio e'  disciplinato  con  apposito  regolamento  interno,  nel
quadro dei principi della legge di contabilita' regionale»; l'art. 16
del medesimo Statuto, dal canto suo,  stabilisce  che  l'assegnazione
dei contributi ai  gruppi  consiliari  e  le  relative  modalita'  di
rendicontazione «sono disciplinate dalla legge [regionale]». Da  tali
previsioni discende che la rendicontazione dei contributi  attribuiti
ai gruppi consiliari e' rimessa esclusivamente all'Assemblea, secondo
le norme regionali legislative  e  regolamentari  riservatarie  della
materia in base allo Statuto (cfr. legge reg. n. 36/01, spec. art. 3;
legge reg.  n.  4/2008;  Regolamento  interno  di  amministrazione  e
contabilita'   24   aprile   2013,   n.   20;   Regolamento   interno
dell'assemblea legislativa regionale 27 gennaio 2010,  n.  12,  spec.
artt. 16 e 17). 
    Ne  deriva   che   tutte   le   possibili   garanzie   apprestate
dall'ordinamento vigente  in  merito  alla  gestione  dei  contributi
assegnati ai gruppi  consiliari  debbono  rinvenirsi  nella  predetta
normativa,  senza  che   si   possa   ammettere   alcuna   operazione
interpretativa in senso estensivo che possa condurre - come nel  caso
di specie ha preteso  di  fare  la  Sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Toscana della Corte dei conti - a qualificare  inopinatamente
i presidenti dei gruppi consiliari quali "agenti contabili" ai  sensi
e per gli effetti della loro assoggettabilita'  all'obbligo  di  resa
del conto giudiziale  e  alla  relativa  giurisdizione  spettante  al
Giudice contabile. 
    Giova a tal proposito richiamare anche la sent. n. 292  del  2001
di questa Ecc.ma Corte, la quale ha affermato chiaramente che l'unico
agente  contabile  individuabile  nell'Ente  regionale,  a  parte   i
funzionari amministrativi preposti a specifici servizi, e' l'istituto
tesoriere, atteso che «l'agente contabile e'  soggetto  distinto  dai
componenti del Consiglio Regionale e  dai  suoi  Organi  interni,  ed
affatto estraneo alle prerogative che assistono costoro» (e, infatti,
nel caso deciso con la citata sent. n. 292 del 2001, il  giudizio  di
conto e' stato  ritenuto  ammissibile  perche'  rivolto  all'istituto
tesoriere). 
    Anche sotto il profilo dei presupposti soggettivi dei giudizi  di
conto,  pertanto,  risulta  apprezzabile  ictu  oculi   la   radicale
insussistenza del potere giurisdizionale che la  Corte  dei  conti  -
Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Toscana  ha  preteso   di
esercitare con i decreti qui censurati, dal momento  che  l'esercizio
del  giudizio  di  conto  nei  confronti  di  un  membro  del  gruppo
consiliare  non  appare  in  alcun  modo  conforme  al  principio  di
legalita', in quanto privo di qualsiasi riscontro normativo (che pure
ne dovrebbe costituisce il presupposto indefettibile) e, addirittura,
in palese contrasto con  il  quadro  normativo  statale  e  regionale
vigente. Di qui, l'evidente violazione dell'art. 103, secondo  comma,
Cost.  e  delle  discipline  legislative  (e   non)   che   di   esso
costituiscono  l'attuazione,   nonche',   finanche,   la   violazione
dell'art. 101, secondo comma, Cost. sotto il profilo della conclamata
"disapplicazione" di disposizioni di rango legislativo; ed e'  appena
il caso di ribadire - come  gia'  si  e'  illustrato  nel  precedente
motivo di ricorso e piu' analiticamente si mostrera' nel prosieguo  -
che da simili violazioni dei limiti costituzionali imposti al Giudice
contabile scaturiscono in concreto  molteplici  e  gravi  menomazioni
delle sfere di  autonomia  che  la  Costituzione  riconosce  all'ente
Regione e al Consiglio regionale nel suo complesso e nei suoi singoli
componenti. 
    2.2. - D'altra parte, ad abundantiam, non si puo' fare a meno  di
rammentare  il  principio  evidenziato  da  questa  Ecc.ma  Corte  in
numerose pronunce (ex multis, sentenze nn.  110  del  1970,  129  del
1981), secondo cui l'art. 103 della Costituzione esplica  la  propria
vis  espansiva  sui  limiti  esterni  della  giurisdizione  contabile
esclusivamente per gli agenti contabili dello Stato. La Corte avverte
infatti  che  «l'espandersi  della  giurisdizione  costituzionalmente
attribuita alla. Corte dei conti, lungi  dall'essere  incondizionato,
deve considerarsi circoscritto "laddove ricorra  identita'  oggettiva
di materia, e beninteso entro i  limiti  segnati  da  altre  nonne  e
principi costituzionali"» (sent. n.  129  del  1981).  Ed  in  questi
termini si e' espressa - forse ancor piu' chiaramente - la  sent.  n.
102 del 1977, nella quale la Corte ha  in  sostanza  escluso  che  il
precetto  stabilito  dal  secondo  comma,  dell'art.  103  Cost.  sia
caratterizzato da una «assoluta (e non  tendenziale)  generalita'»  e
sia dunque dotato di «immediata operativita' in tutti i casi». 
    Ne deriva che l'estensione della qualifica di "agente  contabile"
e della relativa giurisdizione della Corte dei conti a situazioni non
espressamente regolate nell'ambito degli Enti pubblici diversi  dallo
Stato puo' avvenire esclusivamente entro  i  limiti  segnati  da  una
interpositio legislatoris  in  positivo,  e  sempre  entro  i  limiti
segnati da norme e principi costituzionali. 
    Cio'  trova  conferma  anche   nella   ulteriore   giurisprudenza
costituzionale, la quale ha evidenziato che la puntuale  attribuzione
della  giurisdizione  in  relazione  alle  diverse   fattispecie   di
responsabilita' amministrativa e contabile non opera  automaticamente
in base al disposto costituzionale contenuto  nell'art.  103  secondo
comma Cost., ma e'  rimessa  alla  discrezionalita'  del  legislatore
ordinario (sentt. n. 355/2010, n. 46/2008), e che la Corte dei  Conti
non e' «il giudice naturale della tutela degli interessi  pubblici  e
della tutela  dei  danni  pubblici.  (...)  Proprio  in  applicazione
dell'art. 103, secondo comma, Cost., e nei limiti  ad  esso  imposti,
spetta al legislatore la determinazione della sfera di  giurisdizione
dei giudici (ordinario, amministrativo, contabile, militare  ecc...).
E nella interpositio del  legislatore  deve  individuarsi  il  limite
funzionale delle  attribuzioni  giudicanti  della  Corte  dei  Conti»
(sent. n. 641 del 1987). 
    3. - In particolare:  violazione  dell'art.  122,  quarto  comma,
Cost.. 
    3.1.  -  Nei  paragrafi  che  precedono  si  e'  gia'  ampiamente
argomentato   sulle   caratteristiche    costitutive    del    potere
giurisdizionale illegittimamente affermato ed esercitato dalla  Corte
dei conti nel caso di specie. 
    La stessa giurisprudenza contabile (ex multis, Corte  dei  conti,
Sezioni riunite, sent. 18 luglio 1992, n.  794)  ha  interpretato  il
giudizio  di  resa  di  conto  come  un   processo   a   connotazione
inquisitoria nel quale viene prevalentemente in evidenza il  pubblico
interesse, esplicazione di una  potesta'  pubblica  irrinunciabile  a
fronte della quale il  contabile  si  colloca  in  una  posizione  di
soggezione, cosi' come il vero e proprio giudizio  di  conto  e'  uno
strumento di garanzia  di  correttezza  delle  pubbliche  gestioni  a
tutela  dell'interesse  oggettivo  alla   regolarita'   di   gestioni
finanziarie  e  patrimoniali  (al  punto   che   la   stessa   revoca
dell'istanza per resa di conto da parte del Procuratore regionale  e'
ritenuta inammissibile: ex niultis,  Sez.  reg.  Campania,  sent.  14
settembre 2001, n. 86). Il giudizio contabile esercitato in tale sede
e'  preordinato  alla  verifica  della  rispondenza  tra  l'attivita'
contabile del tesoriere e l'attivita' gestoria  degli  amministratori
danti causa, al fine della verifica del corretto maneggio del  danaro
pubblico.  Non  si  tratta  pertanto  di   un   sindacato   di   mera
legittimita', bensi' di un giudizio sulla gestione complessiva  delle
pubbliche risorse, volto ad accertare il positivo perseguimento degli
obiettivi  posti  dalle  norme  dell'agire  amministrativo,  la   sua
efficacia e l'economicita' dei risultati raggiunti. 
    A cio' si aggiunga la progressiva tendenza  giurisprudenziale  ad
ampliare   l'ambito    di    applicazione    della    responsabilita'
amministrativa e contabile, nell'intento di  affermare  il  carattere
generale della giurisdizione della Corte dei conti  in  ogni  settore
della  contabilita'  pubblica,  sulla  scorta  della   presunta   vis
espansiva della quale  sarebbe  caratterizzato  l'art.  103,  secondo
comma, Cost. Come peraltro ribadito anche da questa Ecc.ma Corte, con
ripetuti interventi normativi il Legislatore  «ha  riconosciuto  alla
Corte dei conti, nell'ambito del disegno tracciato  dagli  artt.  97,
primo comma, 28, 81 e 119 (nel testo originario) Cost., il  ruolo  di
organo posto  al  servizio  dello  "Stato-Comunita'",  quale  garante
imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico
e della corretta gestione delle risorse collettive sotto  il  profilo
dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicita' (sentenze  n.  29
del 1995 e n. 470 del 1997)» (sent. n. 267/2007). 
    Orbene, se il sindacato del giudice contabile incontra il  limite
del merito delle scelte degli agenti pubblici (ex multis,  Corte  dei
conti, sez. II, sent. n. 367/2010; Corte dei conti, SS.RR.  sent.  n.
30/A del 3 giugno 1996), esso si arresta certamente ai limiti esterni
del potere discrezionale,  investendo  l'area  dell'irrazionalita'  e
dello  scostamento  da  ogni  canone  di   corretta   amministrazione
(numerose pronunce del giudice contabile, infatti, fanno  riferimento
al concetto di "ragionevolezza gestoria" - Corte dei  conti,  sez  I,
sent. n. 15/1994/A del 19 settembre 1994 -  e  di  "giustificabilita'
delle scelte" - Corte dei conti, SS.RR., n.  522/A  del  17  dicembre
1986), al fine  di  tutelare  i  principi  di  imparzialita'  e  buon
andamento dell'azione amministrativa. 
    3.2. - Le caratteristiche del giudizio di resa  di  conto  e  del
giudizio di conto che  ad  esso  accede  sono  pertanto  radicalmente
incompatibili con le prerogative e guarentigie  che  la  Costituzione
accorda ai consiglieri regionali, come puntualmente  e  correttamente
confermato anche dall'ordinanza n. 17/2013 della Corte  dei  conti  -
Sezione giurisdizionale per la Regione  Piemonte,  con  la  quale  e'
stata respinta un'istanza del Procuratore Regionale analoga a  quella
cui, viceversa, la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana  ha
dato seguito con i decreti impugnati nella  presente  giudizio  (doc.
8). 
    La giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte ha da tempo ravvisato la
possibilita' di instaurare un parallelismo tra  le  attribuzioni  dei
Consigli regionali e quelle proprie  del  Parlamento  nazionale,  pur
riconoscendone la diversita', sulla considerazione che le prime  sono
espressione di autonomia, mentre le seconde si esplicano a livello di
sovranita'. Da questa  sostanziale  diversita'  si  e'  inferito,  in
particolare, che solo gli organi immediatamente partecipi del  potere
sovrano dello Stato possono godere  di  guarentigie  derogatrici  del
normale ambito di esplicazione della giurisdizione, in ragione  della
loro posizione di  assoluta  indipendenza,  dovendo  escludersi  ogni
possibilita' di estensione agli organi assembleari e di governo delle
Regioni  (ex  multis,  sentt.  nn.  110/1970,   129/1981,   292/2001,
337/2009). 
    Il diverso livello di incidenza sul  tessuto  costituzionale  che
viene  accordato  ai  Consigli  regionali  rispetto   al   Parlamento
nazionale non impedisce  pero',  come  rilevato  anche  dalla  stessa
giurisprudenza  costituzionale,  di  rinvenire  degli   elementi   di
analogia tra le funzioni da. questi esercitate. Tale  omogeneita'  si
rende tanto piu' evidente se si considerano le guarentigie  accordate
ai membri del Parlamento ex art. 68, primo comma, Cost., ed il regime
di immunita' funzionali del quale godono i Consiglieri  regionali  ex
art. 122, quarto comma, Cost., dal momento  che  esse  accedono  alla
medesima ratio garantista, individuata da questa  Ecc.ma  Corte  «nel
"parallelismo con le guarentigie dei membri del Parlamento  [...]  in
relazione  al  nucleo  essenziale  comune  e  caratterizzante   delle
finzioni degli organi "rappresentativi" dello Stato e delle Regioni",
per  finalita'  di   "tutela   delle   piu'   elevate   funzioni   di
rappresentanza politica, in primis la finzione legislativa, volendosi
garantire  da  qualsiasi  interferenza  di  altri  poteri  il  libero
processo di formazione della volonta' politica"» (cosi' sent. n.  200
del 2008; cfr. anche sent. n.  69  del  1985).  L'esigenza  di  rango
costituzionale  sottesa  alla  guarentigia  in  questione  giustifica
«deroghe eccezionali all'attuazione della  finzione  giurisdizionale»
(ancora sent. n. 200 del 2008), per le quali questa Corte ha  escluso
qualsiasi  possibilita'  di  estensione  analogica,  attesa  la  loro
strumentalita' alla tutela delle funzioni di rappresentanza  politica
che solo al Consiglio competono. L'immunita' prevista dall'art.  122,
quarto comma, Cost. rileva come corollario indefettibile della natura
delle attribuzioni del Consiglio regionale,  le  quali  costituiscono
esplicazione di  autonomia  costituzionalmente  riconosciuta  che  si
sostanzia in funzioni disciplinate  tanto  a  livello  costituzionale
quanto a livello di fonti ordinarie (sent. n. 69  del  1985).  Questa
Ecc.ma Corte ha interpretato  l'immunita'  funzionale  dettata  dalla
Costituzione nel senso della insindacabilita' non solo dell'esercizio
di funzioni legislative, di indirizzo politico  e  di  controllo,  ma
anche di quelle di autorganizzazione (cfr. sent. n. 70/1983) ad  esse
strumentali,  rilevando  come  un'interpretazione  restrittiva  della
stessa rischierebbe di frustrarne la ratio  di  tutela  della  libera
formazione della volonta' politica. In particolare, si  e'  precisato
che tra le funzioni presidiate da  tale  immunita'  sono  sicuramente
comprese quelle relative all'amministrazione  ed  alla  gestione  dei
fondi assegnati alla Presidenza del Consiglio regionale, in relazione
ad  attivita'  legate  strettamente  all'esplicazione   del   mandato
rappresentativo (cfr. sentt. nn. 392 del 1999 e 337 del 2009), atteso
che «il criterio di delimitazione dell'immunita' consiliare  non  sta
nella forma amministrativa  degli  atti  [...],  bensi'  nella  fonte
attributiva delle finzioni stesse» (sent. n. 337 del 2009). Cosi',  a
mero titolo di esempio, la sent. n. 81 del 1975 ha  ricondotto  sotto
la sfera della insindacabilita' sancita dall'art. 122, quarto  comma,
Cost. una delibera consiliare di approvazione  della  stipula  di  un
contratto di assicurazione dei consiglieri  regionali,  perche'  essa
rappresentava una forma di «esplicazione di una  funzione  consiliare
per garantire [...] l'autonomia del Consiglio». 
    Da tutto cio' deriva che dell'immunita'  funzionale  riconosciuta
ai consiglieri non possono non partecipare anche i gruppi  consiliari
ai  quali  essi  necessariamente  debbono  afferire  per  l'esercizio
dell'attivita' politica in seno al Consiglio, al fine di  scongiurare
interferenze e condizionamenti esterni nell'assunzione delle  proprie
determinazioni afferenti alla sfera di autonomia dell'Organo. 
    I decreti di fissazione del  termine  per  la  presentazione  del
conto giudiziale che si contestano con il presente conflitto non solo
assurgono ad indebita  e  surrettizia  forma  di  controllo  politico
dell'operato del Consiglio (attesa, come sopra dimostrato, l'assoluta
carenza dei presupposti oggettivi e  soggettivi  per  l'instaurazione
del giudizio per resa di conto), ma, nell'individuare  come  soggetto
passivo il presidente dei gruppi stessi, rendono ancor piu'  evidente
la propria portata gravemente lesiva delle prerogative consiliari. 
    Ne' a diversa conclusione potrebbe giungersi sulla considerazione
dell'asserita vis espansiva dell'art. 103 Cost.,  atteso  che  appare
evidente che l'estensione della giurisdizione della Corte  dei  conti
incontra il limite di altri valori costituzionali, rispetto ai  quali
risulta  recessiva.  D'altronde  questa  Ecc.ma  Corte  ha  da  tempo
affermato come l'area di insindacabilita' dei Consiglieri  regionali,
proprio perche' diretta non all'instaurazione  di  una  irragionevole
posizione di privilegio, bensi' a tutelarne  la  sfera  di  autonomia
costituzionalmente riconosciuta (ex multis, sent. n. 289  del  1997),
si estenda anche alla sfera  di  responsabilita'  patrimoniale  degli
stessi, dal momento che i poteri di autonoma organizzazione dei quali
dispone il Consiglio promanano direttamente dalla  Costituzione.  Con
la sentenza n. 392 del 1999 questa Ecc.ma Corte  ha  escluso  che  il
sindacato della Corte dei conti possa estendersi, in assenza  di  una
preventiva interpositio legislatoris,  anche  ad  attivita'  inerenti
l'amministrazione e gestione dei fondi  di  bilancio  intestati  alla
Presidenza del Consiglio regionale, tanto che essi siano previsti per
soddisfare  le  esigenze  funzionali  allo  svolgimento  di  funzioni
legislative o di indirizzo politico, quanto  che  accedano  invece  a
funzioni di amministrazione attiva quando esse promanano direttamente
dalla Costituzione e da leggi dello Stato. 
    Al  riguardo,  risulta  del  tutto  inconferente  il  riferimento
all'art. 31, della legge 19 maggio 1976, n. 335 contenuto nei decreti
impugnati.  A   prescindere   dall'avvenuta   abrogazione   di   tale
disposizione ad opera del d.lgs. n. 76 del 2000 e fermo restando  che
la soluzione ermeneutica proposta dalla Corte dei conti  e'  comunque
viziata da un'infondata sovrapposizione tra consiglieri regionali  ed
amministratori e  dipendenti  regionali  (soggetti  passivi  di  tale
disciplina) che non trova cittadinanza  nel  nostro  ordinamento,  il
parametro normativo cui e' opportuno riferirsi non  e'  individuabile
nella,   incontestata,   sottoposizione   di   questi   ultimi   alla
giurisdizione contabile, bensi' nella normativa  statale  (a  partire
dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853, sino ad arrivare ai piu' recenti
interventi legislativi di cui alla legge n. 96 del 2012 e al d.l.  n.
174 del 2012) in materia  di  contributi  ai  gruppi  consiliari.  La
stessa legge n. 853 del 1973, in  connessione  con  la  posizione  di
indipendenza della quale gode  in  ragione  delle  proprie  funzioni,
attribuisce al Consiglio regionale autonomia contabile e  funzionale,
che viene pertanto ad accedere agli  ambiti  di  insindacabilita'  ex
art. 122, quarto comma, ed impedisce di ammettere una ingerenza della
giurisdizione nell'ambito dell'autorganizzazione del Consiglio. 
    Privo di pregio risulta pertanto  anche  il  parallelismo  che  i
decreti  impugnati  costruiscono  tra  il  sindacato  giurisdizionale
affidato ex art. 103 Cost. al giudice contabile ed  il  controllo  di
legittimita' e di regolarita' che l'art. 1, commi 9, 10, 11 e 12, del
d.l.  n.  174  del  2012  ha  introdotto  per  le  spese  dei  gruppi
consiliari,  rilevando  il  paradosso  che  si  verrebbe   a   creare
nell'ammettere che solo  il  sindacato  giurisdizionale  risulterebbe
incompatibile con l'immunita' di  cui  all'art.  122,  quarto  comma,
della. Costituzione. In primis, fermo restando che le pronunce  della
Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nn. 12 e 15/2013 (docc.
9, 10) hanno ribadito  la  piena  applicabilita'  del  controllo  sui
rendiconti dei gruppi consiliari ex d.l. n. 174/2012 solo  a  partire
dal 2013, rilevando come il  controllo  relativo  all'esercizio  2012
abbia mera «efficacia ricognitiva  della  regolarita'  dei  documenti
contabili e si inserisce in  un  percorso  finalizzato  all'integrale
applicazione dei nuovi controlli a decorrere dal 2013» (pronuncia  n.
15/2013), la  tesi  della  Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Toscana della Corte dei conti prescinde dalla diversita' di  funzioni
spese nei due casi, giurisdizionali le  une,  di  mero  controllo  le
altre, e di riflesso dal diverso parametro  costituzionale  cui  esse
afferiscono (l'art. 103, secondo comma, Cost. per  le  prime,  l'art.
100, secondo comma, Cost. per le seconde);  in  secundis,  si  ignora
l'esegesi emergente in merito dalla giurisprudenza costituzionale, la
quale, come gia' sopra argomentato, ha  sempre  ricondotto  i  limiti
esterni dell'insindacabilita' consiliare ex art. 122, quarto collima,
Cost. all'esistenza di una espressa e positiva previsione  di  legge,
che e' ben rinvenibile per la spendita di poteri di controllo ex art.
1, commi 9, 10, 11 e 12, del d.l. n. 174 del 2012, mentre  manca  del
tutto - come si e' ampiamente illustrato - per l'instaurazione di  un
giudizio di resa di conto, il quale, pertanto,  difetta  in  assoluto
dei propri presupposti legittimanti. Orbene, appare evidente  che  se
si aderisse all'argomento, fatto proprio dai decreti contestati,  per
cui l'esercizio del giudizio  di  conto  sarebbe  ampliabile  in  via
interpretativa  a  prescindere  da  puntuali  indicazioni  normative,
sfuggirebbe ad una lineare esegesi la stessa ratio del d.l. 174/2012,
atteso che i poteri di  controllo  circa  il  corretto  utilizzo  dei
contributi concessi ai gruppi consiliari si verrebbero a sovrapporre,
in via del tutto paradossale, al giudizio di resa di conto, che  gia'
prima dell'introduzione della novella avrebbe ampiamente  soddisfatto
l'esigenza del rispetto della destinazione funzionale di tali fondi. 
    Erra pertanto la Corte dei conti nel ritenere sufficiente ai fini
dell'estensione  della  giurisdizione  contabile  l'assenza  di  «una
espressa  previsione  negativa»  (p.  25  del  censurato  decreto  n.
13/2013,  espressione  rinvenibile  anche  negli  altri  decreti   in
questione), considerato che tale esegesi prescinde dalle  prerogative
costituzionalmente accordate al Consiglio regionale, e legittima  una
indebita forma di controllo che confligge con il preminente interesse
alla libera formazione della volonta'  politica  consiliare.  Cio'  a
prescindere dalla circostanza, gia' piu' sopra  evidenziata,  secondo
la quale il menzionato art. 44, comma 1, del regio decreto 12  luglio
1934, n. 1214, offre proprio quella  «espressa  previsione  negativa»
non reperita dalla Corte dei conti nel caso di specie, ammettendo che
quest'ultima possa giudicare «sui conti dei tesorieri  ed  agenti  di
altre pubbliche amministrazioni» diverse da quelle statali  solo  ove
cio' sia previsto «a termini di leggi speciali». 
    3.3. - L'art. 122, quarto comma, Cost., peraltro, risulta violato
dai decreti impugnati da altri  e  piu'  specifici  punti  di  vista,
derivanti dal modo in cui in concreto si e' sviluppata la vicenda  de
qua,  risultando  gravemente  lese  le   prerogative   costituzionali
riconosciute  ai   consiglieri   regionali   da   tale   disposizione
costituzionale, in relazione al concreto esercizio che essi ne  hanno
fatto. In altre parole, come si mostrera', gli atti  in  questa  sede
contestati non si limitano ad influire indebitamente sul procedimento
di formazione della volonta' all'interno del Consiglio regionale,  ma
- piu' specificamente - pretendono di sindacare, nelle forme e con le
modalita' proprie dei giudizi di conto affidati alla Corte dei conti,
specifiche «opinioni espresse» e  ben  determinati  «voti  dati»,  in
concreto e in piu' circostanze, da consiglieri regionali. 
    A questo riguardo, deve essere osservato quanto segue. 
    3.3.1. - In primo luogo, si deve evidenziare che  l'art.  16  del
Regolamento   27   gennaio   2010,   n.   12   (Regolamento   interno
dell'assemblea legislativa regionale), al suo comma  3,  prevede  che
«il presidente del gruppo consiliare sottoscrive il rendiconto  e  ne
e' responsabile», aggiungendo altresi' che il medesimo e'  «tenuto  a
dichiarare in calce al rendiconto, sotto la propria  responsabilita',
che le spese sostenute dal gruppo  sono  conformi  alla  legge  e  al
presente regolamento». 
    Dunque, la normativa regionale vigente in materia  di  rendiconti
dei gruppi consiliari prevede espressamente che i loro  presidenti  -
membri del consiglio regionale, e dunque  coperti  inequivocabilmente
dalla guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost. -  rendano
delle dichiarazioni aventi ad oggetto la conformita'  del  rendiconto
alla legge e al regolamento interno del Consiglio, imponendo  inoltre
la sottoscrizione, sempre da parte  dei  presidenti,  del  rendiconto
medesimo. Tale dichiarazione, ove effettivamente esistente, e'  senza
dubbio  resa  dai   consiglieri   regionali/presidenti   dei   gruppi
nell'esercizio   delle   proprie   funzioni,   e    rientra    dunque
inequivocamente nell'ambito di  applicazione  dell'art.  122,  quarto
comma, sopra citato. La sottoscrizione, dal canto suo, e' un atto con
il quale il  presidente  fa  proprio  il  contenuto  del  rendiconto,
approvandolo.  Essa   equivale   senz'altro   ad   un   "voto"   dato
nell'esercizio  delle   funzioni   del   consigliere/presidente.   Si
consideri, al riguardo, che l'atto del voto ha precisamente l'effetto
di far proprio, approvandolo, l'oggetto cui  esso  si  rivolge.  Tale
approvazione, pero', si puo' esprimere mediante un  atto  formalmente
qualificabile come "voto" solo quando si proceda  alla  deliberazione
nell'ambito di un Organo  collegiale.  Risulta  dunque  evidente  che
l'approvazione del rendiconto da parte di un organo monocratico  come
il presidente del  gruppo,  pur  essendo  funzionalmente  identica  a
quella che avviene mediante un voto in un organo collegiale, non puo'
esprimersi mediante un, atto avente tale  forma  esteriore,  trovando
invece sostanza giuridica nella "sottoscrizione" che,  ai  sensi  del
citato art. 16, comma 3, del regolamento interno del Consiglio,  deve
essere apposta in calce al rendiconto. La sottoscrizione  in  parola,
dunque, tiene luogo del voto nel caso di specie. Rappresenta il  modo
in cui trova forma e sostanza l'approvazione di un atto da  parte  di
un  consigliere  regionale  quando  opera  come  organo   monocratico
endoconsiliare, ed  e'  dunque  coperta  dalla  medesima  guarentigia
costituzionale di  cui  beneficia  l'approvazione  che,  esprimendosi
nell'ambito di un organo collegiale,  trova  forma  esteriore  in  un
"voto" in senso proprio. 
    Da quanto appena esposto derivano alcune agevoli conclusioni. Ove
i presidenti dei gruppi abbiano  effettivamente  apposto  la  propria
sottoscrizione in calce al rendiconto, e ove abbiano  contestualmente
dichiarato la conformita' alle leggi e al regolamento delle spese  in
esso indicate, essi «non possono essere chiamati a rispondere»  (art.
122, quarto comma, Cost.) per questi atti. 
    Cio' invece e' precisamente quanto  pretendono  di  realizzare  i
decreti della Corte dei conti indicati in epigrafe. La  richiesta  di
resa del conto, e la connessa pretesa di esercitare  il  giudizio  di
conto nei confronti dei presidenti dei  gruppi  consiliari  non  sono
altro, infatti, che il tentativo di assoggettare a giudizio,  facendo
valere la conseguente responsabilita', i presidenti dei gruppi per la
coerenza delle  spese  documentate  nel  rendiconto  con  il  diritto
vigente. 
    Va da  se',  ovviamente,  che  la  "copertura"  costituzionale  a
beneficio dei consiglieri-presidenti dei gruppi sussiste solo  ove  e
nei limiti in cui le sottoscrizioni dei  rendiconti,  e  le  relative
dichiarazioni, siano effettivamente esistenti. Ma che tale situazione
ricorra nel caso  di  specie  puo'  essere  agevolmente  provato.  Al
riguardo,  e'  sufficiente  fare  riferimento   alla   documentazione
prodotta (doc. nn. 11, 12, 13, 14), dalla quale  risulta  chiaramente
la presenza della  sottoscrizione,  nonche'  delle  dichiarazioni  di
conformita', da parte dei presidenti dei gruppi consiliari,  ciascuno
per i rendiconti che gli  competono,  in  riferimento  agli  esercizi
finanziari degli anni 2010, 2011  e  2012  (tali  dichiarazioni  sono
allegate alle  delibere  dell'Ufficio  di  presidenza  del  Consiglio
regionale di approvazione dei rendiconti medesimi). 
    Gli atti in indicati in epigrafe, dunque,  ledono  gravemente  la
posizione costituzionale  dei  consiglieri  regionali/presidenti  dei
gruppi  consiliari,  giacche'  intendono  chiamare  questi  ultimi  a
rispondere per voti dati ed opinioni  espresse  nell'esercizio  delle
loro funzioni, in palese  violazione  dell'art.  122,  quarto  comma,
Cost. 
    3.3.2. - In secondo luogo, e' necessario notare  come,  ai  sensi
dell'art. 16, comma 5, del citato regolamento interno  dell'assemblea
legislativa,  i  rendiconti  presentati  dai  presidenti  dei  gruppi
consiliari siano sottoposti a «verifica»  da  parte  dell'Ufficio  di
presidenza, il  quale  «li  approva  qualora  non  siano  riscontrate
irregolarita'». Come risulta chiaramente dall'art. 14  dello  Statuto
della  Regione  Toscana,  l'Ufficio   di   presidenza   e'   composto
integralmente da consiglieri regionali. I voti  dati  e  le  opinioni
espresse in quel collegio, dunque, sono integralmente  coperti  dalla
insindacabilita' di cui all'art.  122,  quarto  comma,  Cost.  Lo  e'
dunque, anche  la  formale  approvazione  che  in  essa  avviene  dei
rendiconti dei gruppi consiliari. Per di piu', ove si consideri  che,
ai  sensi  del  citato  art.  16,  comma  5,  del  regolamento,  tale
approvazione puo' avvenire solo nel caso in cui  non  si  riscontrino
irregolarita' dei rendiconti, non si puo'  con  concludere  che  essa
valga  non  soltanto  come  "voto  dato",  ma  anche  come  "opinione
espressa", sia pure espressa per  implicito,  e  avente  per  oggetto
proprio la regolarita' dei rendiconti. 
    La garanzia costituzionale offerta dall'art. 122,  quarto  comma,
Cost., ovviamente,  "copre"  voti  e  opinioni  che  siano  stati  in
concreto manifestati. Che cio' sia avvenuto nel caso di  specie,  per
tutti  i  gruppi  consiliari,  risulta  pero'  con  chiarezza   dalle
deliberazioni dell'Ufficio  di  Presidenza  del  Consiglio  regionale
(doc. nn. 11, 12, 13, 14) con cui sono stati approvati  i  rendiconti
dei gruppi consiliari per  tutti  gli  esercizi  finanziari  che  qui
rilevano (2010, 2011, 2012). 
    Anche da questo punto di vista, dunque, non si puo' che  ritenere
che, con i decreti indicati in epigrafe e in questa sede  contestati,
la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la  Regione  Toscana
abbia  inteso   sottopone   a   controllo   atti   costituzionalmente
insindacabili in quanto coperti dalla  guarentigia  di  cui  all'art.
122, quarto comma, Cost. 
    3.3.3. - C'e' un ulteriore aspetto della vicenda che mostra -  al
di la' di  ogni  possibile  dubbio  -  come  i  decreti  in  epigrafe
intendano sottoporre a controllo atti coperti dalla prerogativa della
insindacabilita'  dei  consiglieri  prevista  dall'art.  122,  quarto
comma, Cost. Come e' noto,  infatti,  il  rendiconto  presentato  dai
presidenti  dei  gruppi  parlamentari  e  approvato  dall'Ufficio  di
presidenza  ai   sensi   dell'art.   16   del   regolamento   interno
dell'assemblea  legislativa,  e'  destinato  poi  a   confluire   nel
rendiconto  generale  della  Regione,  il  quale,  a  sua  volta,  e'
ovviamente oggetto  di  una  approvazione  da  parte  del  Consiglio,
addirittura nelle forme della legge. Ebbene, anche  in  questo  terzo
passaggio procedimentale le spese sostenute dai gruppi consiliari,  e
documentate dai rendiconti presentati dai  loro  presidenti,  vengono
sottoposte ad un "voto" da parte dei consiglieri regionali, sia  pure
per aggregato. 
    Nel caso di  specie,  il  voto  consiliare  di  approvazione  del
rendiconto generale si e' verificato per tutti  e  tre  gli  esercizi
finanziari in discussione. Quello relativo  all'anno  2010  e'  stato
approvato con la legge regionale 11 luglio 2011,  n.  27  (Rendiconto
generale per l'anno finanziario 2010); quello relativo all'anno  2011
con la legge regionale 18 giugno 2012, n. 31 (Rendiconto generale per
l'anno finanziario 2011); quello relativo all'anno 201.2, infine, con
la legge 15 luglio  2013,  n.  36  (Rendiconto  generale  per  l'anno
finanziario 2012). 
    Anche da questo punto di vista, dunque, con i  decreti  impugnati
ed indicati in epigrafe la Corte dei conti - Sezione  giurisdizionale
per la Toscana  pretende  in  costituzionalmente  di  assoggettare  a
giudizio di conto atti coperti dalla insindacabilita'  ex  art.  122,
quarto comma, Cost.,  in  quanto  oggetto  di  "voto"  da  parte  dei
consiglieri regionali. 
    4. - In particolare: violazione degli artt. 101,  secondo  comma,
121, secondo comma, anche in relazione  all'art.  134,  primo  comma,
Cost. 
    Con i decreti indicati in epigrafe e impugnati in questa sede, la
Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana,  ha
inoltre  leso  l'autonomia  costituzionale  della   Regione   Toscana
interferendo gravemente con l'esercizio  della  funzione  legislativa
attribuita dall'art. 121 al Consiglio regionale, in violazione  anche
degli artt. 101, secondo comma, e 134, primo comma, Cost. 
    Al  riguardo,  deve  innanzi  tutto  prendersi  le  mosse   dalla
circostanza, segnalata appena piu' sopra, che i  rendiconti  generali
della Regione Toscana per gli anni 2010, 2011 e 2012, nel cui  ambito
sono confluite - dopo l'approvazione singulatim da parte dell'Ufficio
di presidenza -  le  spese  documentate  dai  rendiconti  dei  gruppi
consiliari dei  medesimi  anni  in  relazione  ai  quali  il  giudice
contabile pretende di esercitare la propria giurisdizione, sono stati
approvati mediante una legge regionale.  In  particolare,  come  gia'
ricordato, si tratta rispettivamente delle leggi regionali n. 27  del
2011, 31 del 2012 e 36 del 2013. 
    La  richiesta  di  resa  del  conto  ai  presidenti  dei   gruppi
consiliari, con la connessa  pretesa  di  esercitare  il  conseguente
giudizio di conto, equivale, infatti, alla pretesa di  esercitare  un
controllo di regolarita' legislativa di quelle spese, documentate nel
rendiconto  dei  gruppi,  che  sono  successivamente  confluite   nel
rendiconto generale approvato con legge. Tramite i decreti impugnati,
dunque, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per  la  Regione
Toscana innesca un procedimento  volto  ad  esercitare  un  sindacato
giurisdizionale avente  per  oggetto  -  almeno  in  parte  qua  -  i
contenuti della stessa legge di approvazione del rendiconto generale.
Ove si consideri, inoltre, che tale sindacato potrebbe  evidentemente
giungere a contestare la correttezza  delle  spese  rendicontate  dai
gruppi,  con   cio'   producendo   l'effetto   di   una   sostanziale
"disapplicazione" delle risultanze contabili del rendiconto  generale
approvate con legge dal Consiglio, ci si rende agevolmente  conto  di
come, per il tramite degli atti in questa  impugnati,  la  Corte  dei
conti - Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Toscana  realizzi
un'indebita  interferenza  con  la  funzione   legislativa   affidata
dall'art. 121, secondo comma. Cost., al Consiglio  regionale,  ed  in
concreto esercitata da quest'ultimo con  le  leggi  regionali,  sopra
richiamate, nn. 27 del 2011, 31 del 2012 e 36 del 2013. 
    Che  tutto  cio'  realizzi  un  grave   vulnus   all'attribuzione
costituzionale  regionale,  peraltro,  risulta   ben   chiaro   dalla
considerazione dell'art. 134, primo comma, Cost., che prevede per  le
leggi regionali (insieme alle leggi statali e agli atti aventi  forza
di legge) il solo controllo di costituzionalita' da parte della Corte
costituzionale,  affermandosi  corrispettivamente   in   Costituzione
l'assoluta soggezione di qualunque giudice comune alla legge e dunque
l'impossibilita',   per   chi   esercita   una   qualunque   funzione
giurisdizionale  comune,  di  "disapplicare"  le   fonti   di   rango
legislativo (art. 101, secondo comma). Si tratta di un  elemento  che
viene a comporre il regime giuridico dell'atto legislativo in  quanto
tale e che, secondo il noto insegnamento di autorevolissima  dottrina
(A.M. Sandulli), contribuisce a costituire il c.d. "valore di legge".
Ebbene, con  i  decreti  indicati  in  epigrafe  ed  in  questa  sede
impugnati, la Corte dei conti palesemente nega il valore di legge dei
rendiconti generali approvati con la  forma  della  legge  regionale,
pretendendo di  sottoporre  al  proprio  giudizio,  ed  eventualmente
disapplicare, quegli atti legislativi che,  sia  pure  in  aggregato,
approvano e fanno propri i rendiconti  dei  gruppi  consiliari  e  le
spese in essi documentate. 
    5. - In particolare: violazione dell'art. 123,  primo  e  secondo
comma, Cost., e degli artt. 11, comma 2, 22  e  28,  comma  1,  dello
Statuto della  Regione  Toscana,  sotto  il  profilo  della  garanzia
dell'autonomia contabile riconosciuta al Consiglio regionale. 
    Come e' noto, le  assemblee  legislative  regionali  sono  organi
politico-amministrativi  cui  la  Costituzione  e  la  giurisprudenza
costituzionale riconoscono una posizione di indipendenza  connaturata
alle proprie attribuzioni,  che  impedisce  di  ritenere  compatibile
qualsiasi assimilazione con i controlli cui sono sottoposti,  gia'  a
norma della legge 19 maggio 1976, n. 335, i dipendenti regionali. 
    L'art. 123, primo e secondo comma, Cost., affida, nelle forme  di
una "riserva" in senso  proprio,  la  concreta  strutturazione  della
posizione di autonomia del Consiglio regionale  ad  una  fonte  molto
particolare dell'ordinamento regionale, ossia lo  Statuto,  approvato
come e' noto dallo stesso Consiglio  con  un  peculiare  procedimento
legislativo aggravato. 
    Come gia' accennato,  lo  Statuto  regionale  della  Toscana,  in
attuazione del citato art. 123 Cost., ha  disciplinato  la  posizione
del Consiglio regionale, conferendogli, per mezzo del  suo  art.  28,
comma  1,   «autonomia   di   bilancio,   contabile,   funzionale   e
organizzativa», nell'ambito dell'ordinamento  contabile  disciplinato
mediante regolamento interno, «nel quadro dei principi della legge di
contabilita' regionale», ai sensi del comma 2 del medesimo  articolo,
nonche' del precedente  art.  22.  Questa  importante  previsione  e'
inoltre completata, per quel che qui piu'  specificamente  interessa,
dall'art. 11, comma 2, del medesimo  Statuto,  il  quale  assegna  al
Consiglio il compito di approvare i rendiconti della Regione. 
    L'autonomia contabile del Consiglio regionale accede direttamente
all'autonomia politica dello stesso, quale elemento strumentale  alla
garanzia di effettiva  indipendenza  da  interventi  ed  interferenze
esterne,  come  reso  evidente  dal  citato  art.  28  dello  Statuto
regionale.  L'esercizio  del  potere  regolamentare   consiliare   e'
preordinato  alla  predisposizione  degli   strumenti   giuridici   e
patrimoniali indispensabili per l'effettiva autonomia del  Consiglio,
come reso evidente dall'art. 2, comma 3, della legge reg. 5  febbraio
2008, n.  4,  che  appositamente  tutela  l'autonomia  del  Consiglio
regionale: «L'autonomia  dell'Assemblea  legislativa  e'  presupposto
essenziale per l'efficace svolgimento delle fruizioni  dell'assemblea
stessa, con particolare riferimento a quelle: 
      a) di rappresentanza della Comunita' Toscana; 
      b) di legislazione, indirizzo politico, controllo,  valutazione
dei risultati delle politiche regionali; 
      c) di promozione dei diritti e  dei  principi  statutari  e  di
verifica del loro stato di attuazione; 
      d)   di   promozione   della   partecipazione   dei   cittadini
all'attivita' del Consiglio regionale; 
      e) di informazione e comunicazione istituzionale». 
    L'importanza   della   autonomia   contabile   come    corollario
indefettibile della autonomia consiliare  spiega  perche',  ai  sensi
dell'art. 7, della legge reg. n. 4  del  2008,  all'approvazione  del
bilancio annuale concorrano tanto l'Ufficio di Presidenza  quanto  il
Consiglio, e perche', di riflesso,  l'art.  9  della  suddetta  legge
strutturi  l'autonomia  contabile  consiliare  nel  senso  della  non
sottoposizione a controllo degli atti amministrativi  e  di  gestione
dei fondi ivi iscritti. E'  pertanto  pacifico  che  la  riconosciuta
autonomia contabile risulti presupposto per l'indipendente  esercizio
delle altre funzioni consiliari, in primis quelle legislative. 
    Risulta pertanto di tutta evidenza che gli atti di  gestione  dei
fondi messi a disposizione dell'attivita' politica consiliare,  oltre
ad accedere ad aree coperte da insindacabilita' ex art.  122,  quarto
comma, Cost., secondo quanto si e'  posto  in  evidenza  piu'  sopra,
risultano  strumentali  all'esigenza  di  tutelare  le  piu'  elevate
funzioni di rappresentanza politica dal rischio di ingerenze  esterne
che ne minerebbero  l'autonomia.  Orbene,  la  natura  giuridica  del
giudizio di resa di conto (e del giudizio di conto  che  ad  esso  fa
seguito)  risulta  incompatibile  con  tali  guarentigie.  Avendo  ad
oggetto la gestione complessiva delle risorse pubbliche attribuite al
Consiglio, esso coinvolge irrimediabilmente anche atti  che,  per  il
loro rilievo normativo e gestionale,  si  presentano  quali  atti  di
indirizzo e programmazione. Esso incide pertanto  sul  nucleo  stesso
dell'autonomia consiliare e  dell'autonomia  contabile  che  ad  essa
accede,  risolvendosi  in  un  giudizio  penetrante  sul  merito  del
positivo perseguimento degli obiettivi posti  dalle  norme  all'agire
amministrativo,  sull'efficacia  dell'azione  amministrativa,   sulla
congruita' dei risultati nel rapporto  costi  -  ricavi  -  benefici,
sulla stessa efficienza delle strutture consiliari. La natura di tale
potere impedisce di ritenerlo riferibile  all'attivita'  di  gestione
dei  fondi  assegnati  al  Consiglio  per  le   esigenze   funzionali
all'autonomia   costituzionalmente   riconosciuta    delle    proprie
attribuzioni. 
    Anche sotto questo  profilo,  pertanto,  i  decreti  indicati  in
epigrafe, e in questa sede  impugnati,  interferiscono  indebitamente
con l'autonomia statutaria  di  autorganizzazione  costituzionalmente
riconosciuta alla Regione, e con il modo in  cui  tale  autonomia  e'
stata concretamente esercitata nello Statuto  della  Regione  Toscana
mediante, in particolare, la previsione dell'autonomia contabile  del
Consiglio.